Di Sergio
Non è un articolo per terrapiattisti e nemmeno per no-vax o complottisti della domenica. In realtà, fenomeni come quelli delle balle (spaziali, è proprio il caso di dirlo) sulla non sfericità della Terra, non sono altro che l’altra faccia della medaglia di quel dogma scientifico che negli ultimi decenni ha assunto nella società occidentale e globalizzata la figura, tacciata e adorata allo stesso tempo, del “tecnico”.
“Ci vorrebbe un governo di tecnici”, quante volte lo abbiamo sentito dire? E se fino a pochi anni questo spauracchio si materializzava nei panni dei governi dei baroni, esempio Mario Monti, queste algide e fredde figure incaricate di “far quadrare i conti”, oggi il dogma del tecnico si è insinuato in maniera molto più profonda ed intima nelle nostre vite grazie alla pandemia che ha già consegnato al secolo il 2020 come l’anno del Coronavirus.
Ci vorrebbe un tecnico. Non cantava proprio così Antonello Venditti nel suo celebre brano del 1984, “Ci vorrebbe un amico”, ma questo potrebbe essere l’inno di tutta quella pletora di giornalisti, politici, attori e scrittori che non perdono occasione per acclamare il governo Conte, ammonire la stupida plebaglia che ha passato l’estate al mare e che ora vorrebbe addirittura concedersi il cenone di Natale. E il mantra, ripetuto come una preghiera dalle emittenti a reti mai state così unificate è sempre lo stesso: affidarsi ai comitati tecnico-scientifici, alle task-force (quando usano nomi inglesi puzza sempre di fregatura, vi ricordate il Jobs Act?), agli scienziati (come fossero un’unica e monolitica casta) o più in generale alla Scienza. La dea Scienza che stranamente benedice sempre e solo lo status quo.
Lo dice la scienza.
È il motto del semicolto amico delle guardie che dopo aver denunciato un assembramento sotto casa, condivide sulla sua bacheca facebook un articolo di Focus che spiega in dieci punti perché chi chiama la polizia ha un’intelligenza sopra la media. Scherzi a parte (o forse no), la Scienza è proprio tutto? Una laurea in ingegneria o in medicina, o una laurea in generale, rende un uomo più intelligente di un diplomato o di un manovale? Forse sì, ma lo rende maggiormente in grado di guidare una Nazione?
La Politica è una scienza così esatta da poter essere semplicemente amministrata da appositi tecnici, contabili e notai da dietro la loro scrivania? Cos’è la Scienza, ma soprattutto “chi è” oggi la Scienza? Quella del CERN di Ginevra o quella delle task-force anti-covid, quella dell’Agenzia Spaziale Europea o quella degli studi gender, quella delle energie rinnovabili o quella della Silicon Valley?
È difficile dare una riposta, ma sicuramente la Scienza non è un solo Dio padre onnipotente, ma al contrario rappresenta oggi la frammentazione del sapere, la specializzazione, le branche, le caste distinte e separate che non comunicano fra di loro ma si rinchiudono ognuna nelle sue torri d’avorio sparse per il mondo. Le Università sono esemplificative di questa frammentazione: la facoltà, il dipartimento, il corso e via discorrendo non offrono una visione d’insieme, olistica (termine terribilmente abusato), ma solo una visione parziale e settaria che come risultato ottiene di dividere ancora di più la popolazione nella sua interezza, che non crea popolo ma caste.
Stranamente, ci accorre in aiuto proprio uno scienziato. Il fisico italiano Carlo Rovelli, intervistato in un incontro virtuale dal giornale britannico Guardian, ribadisce senza giri di parole che la scienza ha fatto un grave danno al mondo dividendosi e frammentandosi in tante discipline. Se il 2020 ha incoronato i virologi come nuove star di Tv, radio, internet e giornali, il 2020 ha anche rappresentato l’ingresso forzato della scienza nella politica in una nuova Repubblica che più che quella dei Filosofi di Platone sembra quella dei virologi, infettivologi e –ologi vari.
Una deriva preoccupante, sempre secondo Rovelli, che mette in campo non più lo storico scontro tra scienza e fede, non solo perché non c’è più nessun Galileo o Bruno ma nemmeno più un Dio o un sistema tolemaico da difendere, ma bensì tra scienza e politica, dove la prima si nutre della disfatta della seconda.
Il ‘900 ha ucciso Dio ma anche la Politica: quante volte sentiamo l’assioma “l’epoca delle ideologie è morta”? Un’affermazione che dovrebbe ripugnarci: perché all’epoca delle ideologie, seppur nelle loro incoerenze e disfatte storiche, non ha seguito nulla se non un’epoca delle non idee, dove il denaro è l’unica legge.
Spesso a questo tipo di affermazioni seguono elogi sperticati dell’uomo d’ufficio, del capitano d’industria, del self-made man e dello scienziato super partes che non ha tempo di occuparsi della politica, sporca e marcia (senza dubbio) ma che in situazioni di emergenza si cala i panni del supereroe e torna tra i mortali. La versione moderna dello scontro è tra scienza e politica, quindi?
Non proprio, perché in realtà più che uno scontro quella che sta avvenendo con il coronavirus è un’alleanza tra il pensiero unico, globale e progressista, e la scienza politicamente corretta. Una saldatura che dà il La ad un mostruoso dogma che afferma “da domani questa regione è zona rossa”, oppure “da domani tutto chiuso” mentre i soldi del Recovery Plan vengono affidati prima che alla sanità, alla parità di genere… tutto questo perché? Perché lo dice la scienza…
Rovelli, che pure è punta di diamante del mondo scientifico non esita a schierarsi con la politica: “Le decisioni vanno sempre prese dalla politica. La scienza non si può sostituire ai decisori. Chi governa deve tenere conto di molti fattori”. Il fardello delle decisioni non può essere scaricato su virtuali numeri di contagi e tamponi, nemmeno sui comitati di tecnici. La politica è vita di milioni di uomini, c’è bisogno di una visione d’insieme per far sì che le leggi non siano solo regole da far rispettare con la coercizione ma pilastri su cui edificare la vita di un popolo.
Rovelli ammette anche che non è una scelta facile, perché “si tratta di scegliere tra la salute e la povertà”. E qui centriamo il punto del grande ricatto con cui lo scientificamente corretto alimenta i misfatti del governo: ti diamo la sopravvivenza in cambio della tua vita. Se chiudiamo tutto, se ti impediamo di vivere umanamente e socialmente, se ti impediamo di fare sesso o di andare in vacanza, se ti allontaniamo dai tuoi cari e dai tuoi amici, se ti facciamo lavorare a casa, in cambio avrai salva la vita, o meglio, la salute. Ma cos’è la salute senza vita? Niente. Il nulla.
Se dalla scienza ufficiale non possiamo aspettarci nulla di meglio se non un inasprimento del regime sanitario, forse è dalla Scienza vera, quella controcorrente e per natura eretica che possono arrivare segnali di speranza e fiducia.
Secondo Carlo Rovelli, dopo aver parlato di fisica quantistica e big bang, la ricetta per uscire da questa dittatura della scienza è quella di avere un approccio olistico, organico se vogliamo dargli una patina più “nostra”, che altro non è che il mito romano della Concordia e della celebre fabula di Menenio Agrippa: il corpo non è le singole parti che lo compongono, ma uno solo. Quando la scienza si scollega dalla realtà e dall’agire crea mostri orwelliani da distopia cinematografica e quando la politica abdica dal suo ruolo di regolatore delle parti produce la guerra civile, la secessione dell’Aventino permanente che distrugge una Nazione. Quando la scienza, che dal latino non significa altro che sapere, rinuncia all’umanità per un freddo calcolo tradisce la natura insita nel significato stesso di sapere: ovvero intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Come le pietanze col sale.
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