Di Jen
I primi anni novanta in Gran Bretagna hanno i colori di una classica giornata uggiosa londinese. Instabilità politica e crisi economica avvolgono il cielo in un contesto in cui, il partito conservatore, guidato da Major, non riesce a fronteggiare i problemi. Ma, piano piano, dal basso, la lenta affermazione del partito laburista porta con sé la reazione giovanile che attraverso l’espressione Cool Britannia voleva comunicare un senso di euforia rivoluzionario rispetto alla severa austerità degli anni precedenti. A fare da padrona nella propaganda di questo nuovo sentimento è la musica: a partire dal biennio 1992-’93, per poi deflagrare nel 1994, la musica britannica cambiò infatti volto e generò un’ondata di band che in seguito, per comodità, venne inserita sotto l’etichetta di “britpop”.
Oasis, Blur, Suede e Pulp sono i big four di questo movimento, gruppi che, hanno prodotto un rock alternativo e brillante che ha saputo prevalere sui temi della più famosa musica grunge americana che dominava nel Regno Unito. La musica era l’espressione della rivalsa della classe operaia e portava con sé un sentimento di positività in gran parte provocatorio che suggeriva che pure in mezzo a quel grigiore storico erano riusciti a venir fuori dei geni.
Un tratto del tutto esuberante sì, ma non difficile da inquadrare se si pensa ai fratelli Gallagher o a Damon Albarn.
Queste band diventano gli idoli di una gioventù che ha il mondo in mano, una gioventù strafottente e ribelle che si spoglia di quelle vesti puritane degli anni precedenti per vestirsi di una polo Fred Perry, una giacca Heritage o un parka, e per solcare le strade con un paio di Adidas, meglio se Samba o Gazelle. Un movimento sicuramente, per quanto si voglia negare, dai caratteri nazionalistici che anche nell’atto della sua nascita portava in sé una rivalsa tutta inglese, testimoniato dalla mania per l’immagine della Union Jack, che non si sarebbe adattata ad altri ambienti proprio perché priva di intenti globalizzanti ma che avrebbe costretto i giovani europei e non ad inseguirla con la sola ragione di essere “fica e britannica”.
Il fatto che, il britpop, a livello musicale abbia avuto un’incidenza così elevata anche all’interno del continente è dovuto probabilmente al fatto che i temi della lirica inglese in realtà, prendendo le mosse da ciò che succedeva in Inghilterra, riuscivano ad esprimere i sentimenti di una generazione in maniera più generalizzata. Insomma, chi non si sarebbe gasato cantando Supersonic?
Un fenomeno policulturale che investì e coinvolse ogni ambito del quotidiano; dall’amore al calcio, per l’alcol o più semplicemente l’Inghilterra. Un movimento che sa parlare ai nineties britannici e fornisce loro delle coordinate comportamentali, la rivalsa di uno stato dapprima cristallizzato dalle strette del governo Thatcher. Una gioventù che si ribella, che si schifa di ciò che la cultura americana stava importando, tutto questo è il britpop. Appassionati o no, fan o oppositori non si può non riconoscere l’enorme contributo culturale che ha avuto negli ultimi decenni, tanto da non essere ancora del tutto tramontato.
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