Di David
La società è un po’ come la tifoseria da stadio: i borghesi al centro e gli anticonformisti agli estremi. Terreno quindi ottimo per testare un esercizio di controllo sociale ai danni di chi si trova in curva, anche noto come ultras. Un esperimento che, se ha esito positivo in una porzione di abitanti, lo si può applicare a tutti.
Infatti, scrivevano bene gli ultras quando, a seguito di “leggi speciali” (le prime di una lunga serie) a metà degli anni Sessanta, mostravano vari striscioni nelle curve con scritto “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani per tutta la città”. Sostenevano quindi che era solo l’anticipo per il controllo sociale che sarebbe arrivato. Dopo queste prime leggi iniziarono a spuntare nuovi divieti e regole all’ordine del giorno ed adesso, se si vuole andare allo stadio, bisogna tifare secondo regole e linee guida con obbligo di essere preventivamente schedati tramite tessere del tifoso. Abbonamento? Certo, ma la Questura deve avere una tua foto.
Non dimentichiamo poi i media che iniziarono a fare da sfondo della cornice rappresentando gli ultras come criminali e persone aggressive. Esseri umani di serie b che fanno solo cori razzisti e manifestazioni violente.
E pensare che i cronisti sportivi pre leggi speciali definivano gli spettacoli delle curve come “magnifiche coreografie del dodicesimo uomo in campo“.
Ma avevano ragione gli ultras. Sono stati un laboratorio per esperimenti di repressione. Mettere a tacere il dissenso nel nome della sicurezza. Proibire striscioni, manifestazioni, assembramenti. Ci sono voluti più di sessant’anni ed una pandemia, ma ora questa “macchina di repressione“è perfettamente uscita dagli stadi. Ieri i criminali erano gli ultras, ora anche chi manifesta in nome della propria libertà.
Siamo passati ad una serie di leggi speciali per gli stadi ad una serie di decreti altrettanto speciali per tutti i cittadini. Ci troviamo quindi all’apice di un disegno ben preciso da parte del sistema per demonizzare e mettere a tacere chiunque esprima dissenso, partito dagli stadi ai danni di quei tifosi che meglio sapevano farsi sentire nell’esprimere il proprio ideale (calcistico nel loro caso). Ma chi è stato il più infame dei complici? L’italiano medio. Quello che ha avuto paura degli ultras perché gli era stato ordinato di averne e, nel silenzio collettivo, si pensava: “Io non sono un ultras, quindi va bene”.
Ai giorni odierni, infatti, chi è il manifestante? Chi è il protestatore? Un criminale, un demone, un untore che diffonde Covid ai danni del resto della popolazione che, da brava servetta, obbedisce a tutte le regole che le vengono imposte. Dopotutto, come la maggioranza ha accettato i divieti per gli stadi, ora li accetta anche per sé stessi. Crediamo alle cavolate che ogni giorno ci propinano i maggiori media, i quali sono approssimativi e non approfondiscono le tematiche, fedeli ed obbedienti al governo (Italia 43° nella classifica mondiale della libertà di stampa, sei posti dopo il Burkina Fasu).
Avevano ragione gli ultras. Ieri era toccato a loro; oggi tocca a noi.
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