Mi chiedo spesso come racconterò questi anni. Cos’hai fatto, allora? E perché? Sembra di sentire la voce di un figlio non ancora nato, o forse di un passante sbadato. È difficile raccogliere il filo di una storia che ci ha travolto, che ha trasformato i nostri diciotto anni in una tempesta di fuoco ed ha invaso la nostra terra come una mareggiata inonda la costa. Era primavera quando questa guerra è cominciata, era la nostra primavera, ed è passata via in un secondo, strappata dalla nostra pelle con una baionetta insanguinata. Come fai a rimanere lo stesso, quando anche la terra ti si rivolta contro, e ti seppellisce come un cane col suo osso? Siamo morti tante volte, ad ogni colpo esploso, ad ogni minuto passato sotto al fuoco, ma siamo ancora vivi per un momento e guardiamo, dall’altra parte della notte, dispiegarsi un palcoscenico tetro e una platea di stelle mute e sonnolente. Mi chiedo se saremo ricordati o se le nostre vite passeranno sulla scena della storia come una pioggerella estiva, che bagna e passa mentre scivola via. Oppure saremo tuono? Un rimbombo tra le montagne con echi di ritorno… Non mi è dato sapere, è oltre il mio orizzonte. Non ricordo più il mio nome, signor Tenente, non ricordo perché sono assente. Mi sono perso e non trovo più i miei fratelli, sparsi su questa altura come fiori grigioverdi. Il Tenente non risponde, chissà dov’è ora, sulla cima della montagna o su un treno che sbuffa lentamente? Forse è di ritorno, lui è ancora vivo, e dorme con la testa sul finestrino che si appanna al suo respiro. Mi hanno detto che anch’io tornerò in treno, quindi mi prendo un ultimo attimo prima di partire, per dirti la mia storia che sono mille: sono nato in riva al mare, con il profumo delle onde e la brezza salata, sono nato in città, nel rione più centrale circondato dalle mura, sono nato tra i campi di grano, in un casale con la vite a far da riparo. Sono morto qui, su questo aspro monte alpino, su questo fiume rosso sangue, su un altipiano senza scampo. Sono morto perché tu possa dire al mondo intero, questo era mio padre, questo era un italiano vero, come lui altri centomila sono ancora schierati in attesa di un tuo cenno. In attesa di poterti dire che la Vittoria non ha orpelli dorati, ma le sfumature argento di un cielo autunnale. Perché la Vittoria è semplicemente una promessa, un patto tra fratelli in un mare di guai. Quando a denti stretti ci siamo detti: vinceremo, oppure moriremo. Quando ci siamo promessi che saremmo ritornati tutti quanti indietro. E così è stato. Ti ricordi? Volevamo fare uno scherzo, quando tornati a casa avremmo trovato qualcuno ad aspettarci. Volevamo saltar fuori e dire: eccoci, non siamo mai andati via davvero, siamo stati con voi tutto il tempo.