Di Moro
“Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso”, Fiedrich Nietzsche annunciava così il più grave delitto della storia, lanciando davanti a sé, nel bene e nel male, una nuova era di grandi cambiamenti. Come lui, molti altri tentarono di costruire una nuova narrativa, in quella nuova, strana, epoca libera dal “divin fardello”. C’era forse da aspettarsi altro? Le controparti di Nietzsche però hanno lasciato morire un’occasione unica.
Eppure, un avvertimento era già giunto dalla Germania, prima ancora rispetto a Nietzsche, un certo Max Stirner, filosofo “bastian contrario” per eccellenza, così ci avvertiva:
“Si pensava di aver già fatto tutto portando a compimento l’opera dell’illuminismo: il superamento di Dio; non si è notato che l’uomo ha ucciso Dio solo per divenire lui stesso l’unico vero Dio dei cieli.” – si spiega poi dicendo: “L’aldilà fuori di noi è stato spazzato via, ma l’aldilà dentro di noi è divenuto un nuovo cielo.”
Ne “l’Unico e la Sua Proprietà”, la sola sua più famosa opera pervenutaci, Stirner sfrutta questa tematica per attaccare ogni singola ideologia: dal liberalismo al socialismo, dall’idealismo al razionalismo, dal nazionalismo all’anarchismo. Ogni sfumatura di pensiero che contenga una componente moralista, vagamente metafisica, non fa altro che creare uno scadente sostituto della divinità. Tutto ciò disperde l’individuo in un assoluto e lo porta a pensare non più con la sua testa ma tramite un’ideale dogmatico al quale si asserve. Arriva a ragionare per giudizi morali, faziosi, ipotetici e sogni utopici che sono l’esatta negazione della machiavelliana realtà effettuale delle cose.
Stirner aveva ragione su questo. Oggi vediamo in azione l’enorme leviatano – il riferimento a Hobbes non è casuale – costituito da un senso morale oramai sempre più opprimente. Esatto: perché se è vero che “i cari bei valori di una volta” stanno morendo, non si può dire che non ne stiano sorgendo di nuovi. Vediamo giorno per giorno crescere un alienante senso di umanità, una natura ideale che ci vuole tutti rispettosi di una libertà comunque ben circoscritta.
Si forma quindi “un’aldilà” – o meglio, “un’aldiqua” – ancora più opprimente, che ha la capacità di annullare l’individualità degli esseri umani in un enorme crogiuolo di mediocrità. Un mondo quasi distopico, dove l’ipocrisia morale incontra un edonismo analgesico e una vanità patetica.
Dio, quindi non è ancora morto, si è trasvalutato. Nietzsche lo scrive chiaramente nella sua “Genealogia della Morale”: Egli è figlio di quella massa di individui senza carattere che provano risentimento per quanto è più potente e, non potendo vincere affermando il proprio valore, lo fanno negando il nemico, ciò che lo caratterizza e ricorrendo ad una presunta autorità assoluta se non addirittura trascendentale. Questo, naturalmente, prevede l’imposizione di una morale ferrea, attua a non avere più “disuguaglianze”. Eppure, questi nuovi sovrani non si accorgono che questa loro legge diviene – orwellianamente – un guinzaglio nelle mani di una nuova classe anche più repressiva perché più o meno conscia del fatto di non poter esistere senza il sostegno incondizionato della comunità.
Non tutto però è perduto: Nietzsche ci insegna anche che un pazzo che all’orizzonte vede le cime può arrivare abbastanza in alto per uccidere un qualsiasi dio. O meglio: un individuo capace di superare mille volte sé stesso può creare, trasvalutare, ogni valore. In base alla propria volontà, il singolo è portato a prendere una decisione: accettare questa morale o scegliere da sé la propria virtù? Questa è la matrice di ogni auto-superamento e, così procedendo, si giunge ad una fatidica conclusione: l’etica, al contrario della morale, può essere individuale, aristocratica, audace, libera. È potenzialmente la morte di qualsiasi dio e ciò veicola necessariamente la venuta dell'(oltre)uomo.
Qui però, ci si perde in tutt’altra questione…
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