Di David

Presagio di morte, sventura e di peste, nessuno al mondo vorrebbe ritrovarsi come testimone della furiosa carica della Caccia Selvaggia. Guidata da una figura mitologica, essa è costituita da una folta schiera di morti a cavallo che travolgono chiunque si trovi sul loro cammino. È solita comparire nelle campagne poco prima di uno scoppio di una guerra.

Facente parte del folklore europeo, la Caccia Selvaggia è guidata da un dio pagano, che varia in paese in paese. Il resto dei componenti, invece, è costituita sia da una schiera di defunti che hanno trovato la loro morte in battaglia, sia da dei segugi, alla quale una successiva rivisitazione cristiana ha associato le anime dei defunti bambini non battezzati. Cavalcano solo con le notti di luna piena, portando devastazione nelle campagne e, talvolta, rapendo anche i neonati.

Il primo a parlarne su fonti scritte è lo storico romano Tacito, che annovera la Caccia Selvaggia tra i miti delle popolazioni germaniche. Egli descrive la tattica militare della tribù celtica degli Harii, esempio lampante di terrorismo psicologico da generare una psicosi così profonda da identificare l’origine del mito nella memoria storica germanica. I guerrieri Harii si dipingevano completamente con tintura nera e sceglievano le notti di luna nuova per attaccare i villaggi nemici e metterli a ferro e fuoco.

A studiarne però il mito è lo scrittore tedesco Jacob Grimm, che attribuisce questa credenza folkloristica alla mitologia norrena. Egli credeva che la Caccia Selvaggia fosse stata trasformata da una solenne marcia di eroi guidata dal dio Odino ad un branco di orribili spettri, punteggiato di ingredienti oscuri e diabolici.

Questi cavalieri si trovano, grazie alle continue migrazioni delle popolazioni germaniche in tutta Europa, nell’immaginario di molti paesi, dove però la figura del capocaccia cambia da nazione in nazione. In Inghilterra e in Francia il mito nordico e la tradizione letteraria cortese si fondono: a capeggiare la cavalcata sono rispettivamente Re Artù coi suoi cavalieri (ciclo bretone) e Carlo Magno coi suoi paladini (ciclo carolingio). In Catalogna invece la guida è conte Arnau, talmente crudele in vita da essere condannato a condurre i propri cani per sempre mentre la propria carne è divorata dalle fiamme.

Anche in Italia, tramite la cultura ostrogota e longobarda, è arrivato il mito della Grande Caccia. Guidata dalla figura di Beatrik, associata al re barbaro Teodorico il Grande viene collegata al gelo ed all’inverno.

Il folklore europeo non è quindi solo gatti neri e specchi rotti, ma anche una forma di sopravvivenza dei miti pagani che hanno caratterizzato questo continente. Con la diffusione della religione cristiana però hanno assunto connotati negativi e quelle leggende che caratterizzavano interi popoli si sono trasformati in racconti di paura per i contadini nelle campagne.

La Caccia Selvaggia è esempio di come una nobile cavalcata di eroi si sia trasformata in un presagio di sventura e guerra.