Di Filippo

Il 7 ottobre ricorre il trentacinquesimo anniversario del dirottamento della nave da crociera “Achille Lauro”, sequestrata da un commando del Fronte per la Liberazione della Palestina mentre si trovava al largo delle coste egiziane; a bordo erano presenti 201 passeggeri e 344 uomini di equipaggio in prevalenza italiani.

I quattro dirottatori si imbarcarono al porto di Genova grazie a dei documenti falsi; armati di mitra Kalašnikov, intimarono al comandante La Rosa di abbandonare la rotta e di dirigersi verso il porto siriano di Tartus. Per ammissione di uno dei quattro sequestratori, l’iniziale intenzione del gruppo fu di compiere un attentato in un porto israeliano, ma il fallimento del piano li spinse ad improvvisare il dirottamento dell’Achille Lauro.

Ma quali furono le motivazioni che spinsero i dirottatori palestinesi del FLP a sequestrare la nave da crociera italiana? Il gesto dimostrativo dei quattro militanti era volto a fare pressioni sullo Stato di Israele perché liberasse 50 palestinesi detenuti nelle carceri a seguito degli scontri fra israeliani e palestinesi.

Il dirottamento durò diverse ore durante le quali la notizia fece il giro mondo, dato che all’interno della nave vi erano cittadini di diverse nazionalità. La situazione apparve subito complicata e mobilitò il ministro degli esteri italiano Andreotti, quello egiziano e quello siriano per permettere l’attracco della nave nel porto di Tartus e risolvere la situazione per via diplomatica, ma il rifiuto del ministro siriano creò una pericolosa situazione di empasse. Il governo italiano, in via precauzionale, inviò a Cipro la sera stessa 50 incursori paracadutisti del “Col Moschin” pronti ad intervenire al precipitare della situazione.

 l’Italia decise di proseguire comunque sulla via della diplomazia in collaborazione con l’Egitto e con l’OLP di Arafat che inviò a bordo della nave la notte fra l’8 e il 9 ottobre due negoziatori, Hani El Hassan e Abu Abbas, fondatore del FLP. In cambio della resa, ai quattro dirottatori fu concessa l’immunità e la possibilità di allontanarsi con una motovedetta egiziana, con l’assicurazione di poter trovar riparo in un qualsiasi paese arabo a loro scelta. Alla nave Achille Lauro fu concesso di attraccare in acque territoriali egiziane.

Solo una volta terminato il dirottamento si scoprì che un cittadino statunitense di origine ebraica e disabile, Leon Klinghoff­er, era stato ucciso da uno dei dirottatori e gettato in mare. La reazione degli Stati Uniti creò una violenta crisi diplomatica perché venne espressamente richiesta l’estradizione dei dirottatori al fine di processarli sul suolo statunitense, contravvenendo agli accordi stipulati dall’Italia stessa con la mediazione di Egitto e OLP. Lo stesso presidente Reagan aveva espresso disaccordo sulla negoziazione in seguito alle minacce degli stessi dirottatori di uccidere i passeggeri dell’Achille Lauro, partendo da quelli di nazionalità statunitense, qualora le richieste non fossero state soddisfatte.

L’11 ottobre un Boeing 737 egiziano si alzò in volo per portare a Tunisi i membri del commando di dirottatori, i negoziatori e agenti dei servizi segreti e diplomatici egiziani, secondo gli accordi raggiunti con i dirottatori stessi. Mentre era in volo, alcuni caccia statunitensi lo intercettarono costringendolo a dirigersi verso la base aerea NATO di Sigonella, in Italia, dove fu autorizzato ad atterrare poco dopo la mezzanotte. L’intenzione era prelevare il commando e trasferirlo coattamente negli Stati Uniti per avviare processo e detenzione.

Il Ministro degli Esteri Craxi si oppose alla prova di forza degli Stati Uniti e chiese il rispetto degli accordi internazionali stipulati, decidendo di mandare “a difesa” dell’aereo dei carabinieri italiani, per non far avvicinare al mezzo i soldati statunitensi, si riuscì così ad evitare un attacco americano su suolo italiano.

L’episodio divenne noto come la “crisi di Sigonella” e portò ad una intensa trattativa diplomatica tra Reagan e Craxi, sfociata in una vittoria italiana: Craxi riuscì ad ottenere la custodia dei dirottatori e il diritto a processarli in Italia, invocando per i negoziatori Abbu Abbas e Hani El Hassan il rispetto delle leggi che garantiva loro la protezione in base alle regole dell’extraterritorialità. Il Boeing egiziano lasciò la base Nato di Sigonella e riuscì ad atterrare a Fiumicino, nonostante le ingerenze americane; i due negoziatori lasciarono l’Italia imbarcati su un aereo jugoslavo appositamente ritardato alla partenza.  

Solo successivamente gli Stati Uniti fornirono prove dell’implicazione di Abbu Abbas nel dirottamento dell’Achille Lauro; il fondatore del FLP fu condannato all’ergastolo in contumacia, catturato successivamente in Iraq nel 2013 da militari statunitensi e morì in carcere l’anno successivo.

Le tensioni tra L’Italia e gli Stati Uniti si risolsero alcune settimane dopo con la visita di Craxi in America.

Le vicende che portarono al dirottamento dell’Achille Lauro e soprattutto le complicate e mai del tutto chiare trattative della “crisi di Sigonella” sono ricordate come un importante momento della politica italiana e della sua diplomazia.