Di Nilo

Alea iacta est.

Ha vinto il Sì al referendum confermativo sul taglio dei Parlamentari con quasi il 70 percento: dalla prossima legislatura i deputati passeranno da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 (numero dei senatori elettivi, con esclusione cioè dei senatori a vita).

La disfatta alle elezioni regionali del M5S è stata, in minima parte, alleviata dalla realizzazione di una riforma da sempre cavallo di battaglia dei pentastellati. Un respiro di sollievo, dunque, non troppo profondo che mette il partito di Grillo con le spalle al muro, costringendo l’europarlamentare 5Stelle Ignazio Corrao ad invocare la convocazione immediata di un Congresso che rivoluzioni la struttura interna del movimento, proposito da ultimo manifestato dallo stesso ministro Luigi Di Maio. 

Dopo i tagli alla scuola, alla sanità e allo Stato sociale nel suo complesso come poteva, il nostro organo legislativo, sfuggire all’aziendalizzazione del reale? E cosi gli imprenditori di maggioranza di quella famigerata “azienda” chiamata Parlamento hanno deciso di tagliarne i costi per un risparmio di 285 milioni di euro a legislatura (0.90 euro per cittadino all’anno).

Non sempre valevole è l’assioma per cui ‘in pochi si lavora meglio che in tanti’, a fortiori ciò vale per il Parlamento: Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama sono i luoghi in cui si manifestano la sovranità e la volontà del Popolo che non possono soggiacere né essere subordinate a logiche aziendali.

Del resto un mero taglio numerico non è di per sé garanzia di un Parlamento più celere e deciso nelle scelte, essendo necessaria a tal proposito una riforma costituzionale che superi il bicameralismo perfetto. Ma questa è un’altra storia che non merita di essere sviluppata ulteriormente, non essendo presente in Parlamento (né forse nelle menti dei nostri rappresentanti) una proposta di legge costituzionale concernente tale materia.

Se è vero che le disgrazie non vengono mai da sole come possiamo non porre l’attenzione sulla legge elettorale, legge che trasforma i voti in seggi parlamentari, voluta dalla maggioranza giallo-rossa e prossima al dibattito parlamentare?

Il testo base della riforma della legge elettorale, presentato alla Camera dal grillino Giuseppe Brescia (da cui il nome latineggiante Brescellum o Germanicum per presunte affinità col sistema elettorale tedesco, con il quale invero sembra condividere solo la soglia di sbarramento), prevede un sistema elettorale proporzionale puro con sbarramento al 5 percento e soppressione dei collegi uninominali previsti dalla attuale legge 165/2017 cd. Rosatellum.

La storia del nostro sistema elettorale è complessa e mutevole: si va da sistemi di tipo proporzionale, tipici della cd. Prima Repubblica, aventi il pregio di fotografare fedelmente la realtà politica del Paese a discapito della governabilità, a successivi sistemi di stampo prevalentemente maggioritario o sistemi cd. misti (in parte maggioritari, in parte proporzionali) caratterizzati da Governi maggiormente stabili a discapito di una effettiva corrispondenza fra voto espresso dai cittadini e composizione parlamentare.

L’Italia non ha un sistema elettorale proporzionale puro dal 1993 quando il Mattarellum, con l’inizio della Seconda Repubblica, ha inaugurato la stagione dei sistemi elettorali cd. misti, caratterizzati da un forte bipolarismo (solo momentaneamente superato dall’avvento politico dei 5 stelle) e dalla formazione di coalizioni, con forze politiche che lottavano fino all’ultimo voto per assicurarsi il bottino previsto dalla parte maggioritaria del sistema.

Stando così le cose, non occorre essere troppo maliziosi per comprendere che il vero obiettivo di questa riforma non è quello di adeguare il sistema elettorale alla nuova composizione delle Camere dopo il taglio dei parlamentari.

Il principale scopo della riforma è quello di impedire che alle prossime elezioni il centro-destra, avvalendosi dei collegi uninominali previsti dall’attuale Rosatellum, possa ottenere un controllo totale e stabile del Parlamento: il 45 percento dei voti su scala nazionale si potrebbe tradurre, grazie all’attuale sistema misto, nel 55 percento dei seggi parlamentari.  Risultato che permetterebbe a Salvini e alleati un ampio margine di manovra.

Con la nuova legge elettorale proporzionale, già votata in Commissione affari costituzionali, questo non potrà avvenire: per ottenere il 55 percento dei seggi parlamentari il centro-destra dovrebbe ottenere il 55 percento dei voti su scala nazionale.

Con il Rosatellum Lega e Fratelli d’Italia, pur presentandosi in coalizione con Forza Italia, avrebbero potuto farne a meno dopo il voto, beneficiando del premio in seggi tipico dei sistemi maggioritari o misti come quello attualmente in vigore.

Se passa il Germanicum e Salvini-Meloni non dovessero arrivare al 50 percento da soli (cosa improbabile, ma auspicata da chi scrive) la stabilità del governo sarà rimessa alla libera discrezione di Forza Italia. E questo è per il centro-sinistra, consapevole di passare all’opposizione, una garanzia.

Il taglio dei Parlamentari e la legge elettorale in fieri, stando agli attuali sondaggi, renderebbe il partito guidato da Silvio Berlusconi, con il suo 7,6 percento, pilastro imprescindibile della maggioranza parlamentare della prossima legislatura, non consentendo l’approvazione di riforme ‘sovraniste’ se non col beneplacito del Cavaliere.

È chiara, dunque, la ratio della riforma: non permettere la formazione di un governo stabile ed assoggettare l’esecutivo al potere di ricatto di un partito troppe volte ambiguo su temi fondamentali della politica nazionale.

Come si comporterà Forza Italia in caso di future prese di posizioni radicali dei ‘sovranisti’ nei confronti di una Unione Europea che strozza sempre più il nostro popolo?

Non ci resta che attendere gli sviluppi dell’ennesima riforma che fa interessi di parte e trascura l’interesse nazionale.