Di Saturno
Questo articolo è la seconda parte de “Prima guerra israelo-libanese – l’inizio” ( https://www.bloccostudentesco.org/2020/08/04/bs-prima-guerra-israelo-palestinese-pt1/ )
Mentre l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) si stava ritirando, il 23 agosto fu convocato il parlamento libanese. Per colpa della guerra civile non si erano tenute più delle elezioni parlamentari dal ‘72. Nei 10 anni trascorsi, 7 dei 99 parlamentari libanesi morirono facendone scendere il numero a 92. Di questi 92 solamente 45 si trovavano in Libano, e di questi 45 solo uno si era candidato per la presidenza, ovvero Bashir Gemayel del Partito Falangista Maronita. Quando venne eletto, ci furono celebrazioni in tutto il Paese da parte del popolo stremato dalla guerra che vedeva Bashir come l’uomo chiave per ottenere la pace in Libano, dati i suoi collegamenti con Israele e il mondo occidentale.
Ma il 14 settembre 1982 una bomba distrusse la sede del Partito Falangistaa Beirut Est e nell’esplosione Bashir Gemayel morì. Non è stata trovata alcuna prova di una responsabilità palestinese nell’attentato, ed anzi due giorni dopo l’esplosione venne arrestato un giovane maronita, Habib Shartouni, che apparteneva al Partito Nazionalista Sociale Siriano. Egli confessò il delitto, denunciando Gemayel per le sue trattative con Israele. Sebbene non si avessero prove contro i palestinesi, i falangisti maroniti decisero comunque che si sarebbero dovuti vendicare su di loro, tanto era l’odio che avevano maturato nei loro confronti in 7 anni di guerra civile.
Il contingente neutrale di truppe internazionali composto da italiani, francesi e statunitensi, che era stato messo a guardia dei familiari dei membri dell’OLP espatriati, era partito in anticipo senza quindi completare il mandato iniziale di 30 giorni, lasciando quindi i campi profughi palestinesi con la sola protezione dell’esercito israeliano che aveva appena rioccupato Beirut dopo l’annuncio dell’assassinio di Gemayel. La sera del 16 settembre, giorno che rimarrà per sempre impresso nella memoria dei palestinesi, il ministro della difesa israeliano Ariel Sharon ed il suo capo di stato maggiore Raphael Eitan autorizzarono l’entrata dei miliziani falangisti all’interno dei campi profughi palestinesi.
Ne seguì una strage di civili disarmati passata alla storia col nome di Massacro di Sabra e Shatila (Sabra è un quartiere di Beirut e Shatila un campo profughi). Gli israeliani conoscevano bene i falangisti maroniti ed i loro intenti, tant’è che alcuni ufficiali israeliani intercettarono scambi radio tra falangisti dopo il loro ingresso nei campi; un luogotenente israeliani udì la conversazione tra un miliziano falangista e il comandante falangista Elie Honeika. Elie aveva perso la fidanzata e membri della sua famiglia quando i palestinesi assediarono Damour nel gennaio ‘76. Il miliziano lo informava di aver trovato cinquanta donne e bambini e chiedeva cosa avrebbe dovuto fare. La risposta del comandante fu “questa è l’ultima volta che mi fai una domanda del genere, sai benissimo cosa fare”; lo scambio radio si chiuse con una risata dei falangisti. L’ufficiale che udì tale conversazione confermò di aver compreso che l’implicazione era il loro massacro.
Per 36 ore i falangisti assassinarono sistematicamente centinaia di palestinesi nei campi. Jamal, ragazzo di 28 anni membro del movimento di Arafat, rimase a Beirut quei giorni e fu testimone oculare dei massacri: “Giovedì i bengala sopra i campi cominciarono alle 5:50 del pomeriggio (…), ci furono anche aerei che gettarono bombe leggere. Il cielo era illuminato a giorno. Le ore successive furono terribili. Ho visto gente impazzita dal terrore che correva verso la piccola moschea. Si ripararono là perché, oltre ad essere un luogo sacro, era anche una costruzione solida in acciaio. Dentro c’erano 26 donne e bambini, alcuni con terribili ferite”. I falangisti spianarono i campi con i bulldozer, uccidendo quelli che vi si erano rifugiati negli edifici: “uccisero tutti quelli che trovarono, ma il punto è come li uccisero”. I vecchi venivano falciati, i giovani stuprati e poi uccisi, le famiglie dovevano assistere all’uccisione dei congiunti. Le stime israeliane danno i morti del massacro a 800, la croce rossa palestinese a più di 2000. “Dovevano essere impazziti per fare una cosa del genere. Psicologicamente era chiaro che cosa volevano farci. Eravamo intrappolati come animali in quel campo e questo era proprio come avevano sempre cercato di farci vedere al mondo. Volevano convincere anche noi”.
Il massacro fu condannato da tutto il mondo, compreso dall’opinione pubblica israeliana, da tempo anestetizzata dalla continua violenza delle guerre mediorientali. Il 25 settembre, 300 mila israeliani, equivalenti al 10% della popolazione, si riunirono in una grande manifestazione a Tel Aviv per protestare contro il ruolo di Israele nel massacro. Il governo israeliano fu costretto quindi ad istituire una commissione d’indagine che nel 1983 diede la responsabilità dell’evento al primo ministro Begin, al ministro degli esteri Yitzhak Shamir e al capo di stato maggiore, generale Eitan. La commissione chiese anche le dimissioni del ministro della difesa Sharon. L’indignazione internazionale causò l’immediato rientro del contingente di truppe internazionali in Libano il 29 settembre. Il 23 settembre, il parlamento venne riconvocato ed elesse il fratello maggiore di Bashir, ovvero Amin Gemayel. Egli iniziò i negoziati di pace con Israele il 28 dicembre, che si conclusero il 17 maggio dell’anno seguente (1983). L’accordo prevedeva che il Libano avrebbe dovuto garantire la sicurezza di Israele dai suoi nemici presenti in Libano creando una zona di sicurezzache va da Sidone fino al confine israeliano, coprendo quindi all’incirca un terzo del territorio nazionale libanese. Inoltre, l’esercito libanese avrebbe dovuto accettare nei propri ranghi una milizia maronita finanziata da Israele distintasi per il suo collaborazionismo durante la guerra. Tale accordo fu condannato in tutto il mondo arabo come una farsa, un ricatto umiliante ottenuto sotto minaccia israeliana e statunitense.
Gli sciiti libanesi storicamente non erano ostili a Israele, ma dopo l’assedio di Beirut dell’82, con tutta la morte e la distruzione che le forze armate israeliane portarono al loro popolo, essi fondarono Hezbollah, un’organizzazione paramilitare islamica che ha lo scopo di combattere Israele e i suoi alleati in Medio Oriente. Esistente e operante ancora oggi in Libano, dal 2012 è coinvolta anche nella guerra civile siriana schierata dalla parte del presidente Bashar al-Assad; nelle elezioni libanesi del 2018 ha ottenuto 12 seggi in parlamento. La nascita di Hezbollah è probabilmente la conseguenza più a lungo termine causata dalla prima guerra israelo-libanese, ed è certamente un esempio adatto per spiegare il detto chi semina vento raccoglie tempesta.
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