Di Moro
Oramai sono 120 anni che Friedrich Wilhelm Nietzsche è morto. Ricade infatti sul 25 agosto il centoventesimo anniversario della morte del filosofo. Egli scrisse molto. Tuttavia, quando morì in quell’estate del 1900, all’età di 55 anni, si portò via anche la nostra possibilità di conoscere la parte più celata della sua mentalità. Una domanda è però da porsi: può un uomo che ha potuto esprimere il suo pensiero per la metà del tempo rispetto ad un qualunque altro filosofo (a causa della sua morte precoce), averci lasciato il pensiero più nobile mai pensato? La risposta a questa domanda è sì.
C’è da chiedersi, allora, cosa conferisca una tale importanza al suo pensiero. Egli sarebbe sulla stessa linea dei grandi eponimi di sistemi filosofici morali/metafisici del calibro di Socrate, Cristo e Zoroastro, se non fosse che si pone agli esatti antipodi di tutti costoro. Filosofo (anti)profetico, il suo pensiero è essenzialmente dinamitardo, perché distruttivo nei confronti di ogni inutile paradigma di un qualsiasi sistema filosofico ideale. Se la filosofia si genera handicappata nelle mani di Socrate, e delle sue congetture sillogistiche, il pensiero di Nietzsche è l’aborto di tale scherzo della natura. Se la filosofia soleva comporsi di sentimentalismi idealistici pseudo-razionalistici, egli risponde con un sano, folle, realistico, aggressivo impulso teso a distruggere per ricostruire.
Il valore della dimensione terrena assume quindi per Nietzsche un significato importante: “Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra”, questa l’esortazione del filosofo nel suo celebre Così Parlò Zarathustra. Nietzsche ci insegna che tutto quanto esiste, lo fa in virtù di se stesso e non è quindi mediato da una qualche entità ultraterrena. La dimensione terrena, oltre ad essere già “tragicamente” meravigliosa, è l’unica ad esistere, e così deve essere accettata, apprezzata e vissuta. Ecco la massima virtù dell’Oltreuomo, il solo a essere in grado di eludere il destino e forgiare nuove ere. Un attacco, questo, che non si limita alla semplice religione, ma che va oltre e tenta l’uccisione di qualsiasi metafisica.
Ecco quindi il fine del pensiero di Nietzsche: trasmutare i valori, forgiarne di nuovi, più aristocratici, vitalistici. Nietzsche riprende quanto Socrate aveva pateticamente tentato di sopprimere: la tragedia, il ditirambo, Dioniso. In Nietzsche la tragedia assume un significato simbolico, di Amor Fati, amore per il destino, di accettazione della realtà e della sua natura caotica, terribile. Concetto, questo, che sostituisce le idee innate con la più vitale volontà di potenza, o l’istinto ad affermarsi, elevarsi, creare, prevaricare, forgiare nuovi valori e nuove valutazioni. Una volontà tramite la quale “staccare la testa al serpente” che rappresenta l’ordine inevitabile delle cose, il ciclo dell’eterno ritorno dell’uguale.
In quest’ottica, l’Oltreuomo costituisce il traguardo di quel genere aristocratico di umanità volto al superamento di se stesso. Nietzsche pone una scala gerarchica che spazia dallo stesso Oltreuomo al povero e remissivo omuncolo debole e incapace di affermare la sua volontà. Se il primo si arma di una morale aristocratica, il secondo si affida ad una più vile morale del risentimento. In questo senso, la prima è l’affermazione positiva della propria volontà di potenza, la seconda è un surrogato della stessa, volto non all’elevazione personale, ma all’abbassamento dell’altro al proprio livello. Capiamo quindi la sua avversione al socialismo, alla democrazia e al cristianesimo.
Nietzsche è quindi il filosofo anti-moderno di cui abbiamo bisogno per spezzare un circolo di moralismo e mediocrità. Il filosofo pop per eccellenza, frainteso e citato per aforismi tanto da essere banalizzato, ha in realtà elaborato un'(anti)filosofia tanto complessa quanto completa, la cui profonda comprensione ci può portare benefici in ogni campo. Il suo pensiero è aristocraticismo puro, nonché dinamite nelle mani di quanti vogliono distruggere questa modernità livellatrice di identità e valori.
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