Di Marco
Venti di cambiamento spirano nel Paese del Sol Levante. Nuovi scenari internazionali si stanno aprendo e la pericolosa ascesa della vicina Cina è uno di questi. Gli equilibri globali iniziano a vacillare e il Giappone si trova a fare i conti con questa situazione. Appare sempre più evidente, in una condizione di progressiva incertezza, la necessità di doversi riarmare per tutelare la difesa del proprio Paese. È interessante a riguardo osservare la politica del premier Abe Shinzo che alla fine del 2018 aveva presentato un piano di riarmo senza precedenti in cui si prevedeva una spesa militare per 215 miliardi di euro per il quinquennio 2019-2024. In questa direzione si colloca anche la volontà da parte dello stesso premier per una revisione dell’articolo 9 della Costituzione postbellica giapponese, in cui si rinuncia per sempre alla guerra come strumento di soluzione alle dispute internazionali e dichiara che il Giappone non manterrà mai più “potenziali di forze terrestri, aeree o navali“.
L’articolo qui sopra citato è espressione concreta di quello che il Giappone è andato incontro in seguito alla sconfitta nel secondo conflitto mondiale: la privazione di qualsiasi capacità militare. Una ferita vera e propria nell’orgoglio giapponese inflitta dalle forze alleate che occuparono il paese nell’immediato dopoguerra. Una Nazione e un popolo che per secoli avevano dimostrato il loro onore e il loro coraggio nell’arte della guerra, si vedevano ora castrati di tutto ciò che li aveva caratterizzati e resi grandi. Le forze d’occupazione avevano cercato di seppellire quello spirito guerriero tipico del paese del Sol Levante. Il Giappone del secondo dopoguerra andò incontro a un progressivo oblio della propria tradizione guerriera millenaria. La società dei consumi e il pacifismo imposto dalla Costituzione avevano corrotto lo spirito del popolo giapponese.
Contro la perdita dei valori tradizionali e il declino spirituale del Giappone si erse Yukio Mishima che il 25 novembre del 1970, a 45 anni, insieme ai quattro più fidati membri del Tate no Kai, occupò l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa e pronunciò dal balcone dell’ufficio, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, il suo ultimo discorso.
«Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo».
Nelle parole di Yukio Mishima c’è tutta l’esaltazione dello spirito del Giappone e la condanna di quella costituzione che aveva subordinato il Paese all’occidentalizzazione e alla perdita del proprio sentimento nazionale.
Oggi invece, con il profilarsi di nuovi scenari internazionali, il Giappone vuole tornare a contare e ottenere una propria autonomia a livello militare per fronteggiare la vertiginosa ascesa della potenza cinese. Il Paese del Sol Levante, che era stato costretto a una demilitarizzazione forzosa, oggi non vuole affatto soccombere di fronte alla ascesa di Pechino e vuole ristabilire il proprio ruolo sullo scenario globale.
Le clausole pacifiste della Costituzione sembrano oramai un lontano ricordo.
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