Di David

Immaginate di camminare per le strade di Roma, di Napoli, di Milano o di ogni città nella penisola italiana e ad un tratto di imbattersi in un edificio degradato ed in malora. I muri sono sporcati da graffiti, il giardino attorno è incolto, sporcato da quintali di spazzatura e di sentire uno sgradevole odore mischiato a puzza d’erba.

Spinti da una comprensibile curiosità decidiamo dunque di esplorare il luogo per comprenderlo meglio e ci addentriamo nell’ingresso decadente del luogo. Si scopre che l’interno è ancora peggio: muri crepati, pavimenti sporchi, blatte e ratti in ogni anfratto delle stanze. Cosi in mezzo alla foschia (dovuta a chi sa quali sostanze) si scorgono finalmente gli abitanti del posto. Sono seduti in cerchio, a discutere di come “una società nazifascista e capitalista gestita dei potenti stia schiacciando la libertà di pensiero e la democrazia“. Ed è così che ci si rende conto di trovarsi in un centro sociale.

Nati in Italia negli ambienti giovanili di sinistra a seguito dei moti del ’68 avvalendosi del tema della riappropriazione degli spazi, servivano come strumento di aggregazione sociale per permettere ai giovani di incontrarsi per avviare dibattiti e discussioni.

In realtà questi ambienti, i quali membri si arrogano il diritto di farsi avanguardia di una contro-cultura e di una politica alla fuck the system, non sono altro che luoghi appartenenti al sistema stesso, fatti per traviare i giovani verso il pensiero unico. Infatti ogni partito parlamentare di centro-sinistra è a loro favore e pronto a difenderli a spada tratta da ogni attacco. Quindi com’è possibile che un ambiente contro il sistema sia difeso dal sistema stesso? Sono davvero una minaccia per l’attuale ordine sociale?

No. Sono gabbie dove rinchiudere persone per alienarle dalla realtà. La Rivoluzione non si fa dentro quattro muri, ma per le strade e per le piazze. La creazione di un paradosso dove gli anarchici collaborano con lo Stato per ottenere spazi e fondi, assieme alla protezione da ogni minaccia da parte di quei “maledetti fascioleghisti“. Insomma ACAB che ricorrono alla Polizia per farsi proteggere. Dei veri e propri leoni di internet che al primo pericolo chiamano il 112. Una ribellione con il consenso del padrone, dove le attività più sovversive sono le manifestazioni autorizzate.

Esistono poi i centri sociali che danno asilo agli spacciatori, soprattutto immigrati, nonostante siano ambienti avversi alle droghe pesanti. Forse è solo un loro modello di accoglienza ed integrazione, o forse è solo un altro pretesto per far circolare denaro. Infatti dove c’è un centro sociale – che già di per sé è un appalto ceduto dallo Stato – ci sono cooperative, associazioni, ONG, le quali portano ad un’enorme flusso di denaro. Non si sa di preciso come vengano investiti tutti i fondi, ma solo una cosa è certa: questi soldi non sono impiegati nella ristrutturazione del centro.

Ribelli servi dello Stato, comunisti con i soldi, ACAB amici delle guardie e spacciatori contro le droghe. Queste sono le persone che abitano e gestiscono i centri sociali, gabbie dove asservire al pensiero unico le persone dandogli in cambio un po’ di sballo ed un’idea di falsa libertà ed emancipazione. Luoghi dove si vengono a creare sette, non centri di aggregazione.