Di Bianca
È la notte del 6 luglio, iniziato solo da un paio d’ore, ed Ennio Morricone ci lascia. Ci lascia un pilastro del cinema italiano e mondiale, artista memorabile di colonne sonore che hanno conferito a ogni loro film un’anima unica, viva e sublime. Tra le numerose pellicole, si citano le storiche e amatissime Per un pugno di dollari, C’era una volta in America, Nuovo cinema Paradiso e uno dei suoi ultimi impegni musicali, The Hateful Eight, con la sua celebre collaborazione con Tarantino che lo saluta: “Il Re è morto, lunga vita al Re!“.
La sua fama, oltre che dell’armonia delle sue note, è data dalla sua stimata umiltà e semplicità, che lo hanno accompagnato anche sul palco degli Oscar nel 2007, per la premiazione alla carriera. Il suo amore per la musica non si è spento nemmeno nell’ultimo periodo della sua vita, nonostante l’età – aveva 91 anni -, tanto che all’Arena di Verona nel 2015 diresse per due ore seduto sulla sedia a rotelle, in seguito a una rottura al femore per cui era stato operato solo il mese precedente. Pochi giorni prima del decesso Morricone è nuovamente caduto, e l’incidente ha comportato seri problemi respiratori che sono risultati fatali.
Giorgio Assumma, legale e amico di lunga data della famiglia, informa che il funerale sarà privato “nel rispetto del sentimento di umiltà che ha sempre ispirato gli atti della sua esistenza“. Aggiunge inoltre che il Maestro “ha conservato sino all’ultimo piena lucidità e grande dignità“. Tanto che Morricone, consapevole dell’età e delle sue condizioni fisiche, scrive di suo pugno il suo necrologio poco prima della caduta: in esso saluta con amore gli amici e la famiglia, e in particolare la moglie Maria, che definisce “il suo più doloroso addio“. Lui stesso sostiene la volontà di una cerimonia privata, che include solo i famigliari e pochissime amicizie: “non voglio disturbare nessuno“, spiega.
Una mancanza che segue quella non meno meritevole di essere compianta e sentita di Ezio Bosso, scomparso lo scorso 15 maggio, proprio nel periodo dei postumi della quarantena, in cui si iniziava a “respirare” qualche sentore di libertà dopo i detentivi mesi di lockdown. Pianista e compositore, se n’è andato per via delle complicanze della malattia degenerativa contro la quale combatteva da anni. Due lutti durissimi, che hanno colpito profondamente la parte migliore della musica italiana.
Morricone viene infatti salutato come “Maestro” all’unanimità, tanto da chi l’ha conosciuto di persona come affetto o come collega sul set, come da chi negli ultimi giorni lo ha semplicemente ricordato includendosi in quel cordoglio generale che segue la perdita dei grandi. Numerosi sono stati infatti coloro che lo hanno ricordato sui social, dal mondo dello spettacolo e della politica e anche migliaia di spettatori, tanto da condividere l’apposito hashtag #enniomorricone. Interviene anche Monica Bellucci, protagonista del film Malena di Giuseppe Tornatore, uno dei capolavori per cui Morricone ha composto: “Ennio Morricone con la sua musica ci fa elevare verso qualcosa di alto, di cui abbiamo tanto bisogno per poter credere ancora nella nobiltà dell’anima”.
È evidente che il ricambio generazionale ci sta portando via i nostri geni italiani, coloro che più e meglio rappresentavano a livello internazionale un’Italia diversa da quella che ci vogliono propinare e imporre: la loro è l’Italia artista, l’Italia esempio, l’Italia egemone nell’interpretazione della bellezza, l’Italia modello ispiratore e irraggiungibile della rappresentazione di tutte le sue forme.
L’Italia che in realtà è ripudiata e temuta da vari che sui social hanno ricordato il contributo senza valore di Morricone – fra cui si citano il segretario piddino Nicola Zingaretti e la sindaca di Roma Virginia Raggi. Perché l’Italia che Morricone rappresenta è un’Italia che si confronta, che si distingue, che si eleva consapevole dei suoi meriti; che detiene un patrimonio inimitabile non solo storico, culturale e artistico, ma anche di menti illustri, che si tratti di eroi e guerrieri, di scienziati visionari o di celebri scopritori.
E le parole della Bellucci diventano profetiche se oltre alla perdita dei nostri grandi mentori, che per quanto dolorosa e significativa resta comunque inevitabile, si considera la perdita della potenzialità delle nuove generazioni, che nulla offrono – o meglio dire: nulla pensano, o vogliono, o credono di poter offrire – per portare avanti il mito italiano. Giovani che dovrebbero ispirarsi e prendere esempio da chi prima di loro ha creduto, ha agito, ha faticato, si è dedicato al raggiungimento del sublime, in qualsiasi ambito.
Un’eredità che certamente non manca; quello che manca è la consapevolezza di tale eredità, e ciò che ancora più si perde è la volontà e la promessa di raggiungerne e imitarne la grandezza, se non con l’intento di superarla. Non solo è il vero mezzo con cui onorare i grandi che ci hanno preceduto, ma si profila anche come la reale sfida che attende le future generazioni, più che avere la possibilità di scegliere fra decine di generi sessuali o avere il monopattino elettrico comodamente parcheggiato sotto casa e pronto all’uso.
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