Di Vov
Solitamente quando si pensa ai rapporti tra il continente africano e l’Italia vengono subito in mente le immagini che testimoniano l’avventura coloniale italiana in Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia: dalle conquiste a cavallo tra le dune sabbiose alla costruzione di importanti opere pubbliche – tuttora oggi esistenti – si ha l’impressione che l’Italia in Africa sia solo un insieme di fatti storici, rimasti confinati tra pagine ingiallite e foto in bianco e nero.
Invece, l’Italia fortunatamente ha sempre mantenuto un certo collegamento a livello diplomatico e commerciale anche nel dopoguerra, a testimonianza dei destini che si intrecciano facilmente tra i popoli africani e il nostro popolo. Il Mare Nostrum, infatti, ci offre la possibilità di proiettarci direttamente sulle coste africane per espandere e proteggere gli interessi italiani.
Il futuro dell’Italia, dal punto di vista economico e sociale, è strettamente legato a quello dei popoli africani, dato che il nostro Paese vive attualmente di esportazioni e che non può subire ulteriori pressioni demografico-immigratorie da parte del continente nero.
I mantra che recitano aiutiamoli tutti e aiutiamoli a casa loro risultano essere troppo semplicistici e, soprattutto, fuori luogo. L’Italia, un Paese da 60 milioni di abitanti, non può infatti accollarsi moralmente ed economicamente il peso di aiutare un continente di un miliardo e duecento milioni, così come non può semplicemente andare ad aiutarli a casa loro fornendo i soliti aiuti umanitari (presidi medici, missioni umanitarie).
In questa sede non tratteremo eventuali interventi militari che potrebbero essere più che necessari in determinate aree non pacifiche (vedi la Libia, ultimamente sottoposta alle prove di forza della crescente potenza turca), piuttosto ci concentreremo su come il Made in Italy possa essere un veicolo di progresso e ricchezza sia per l’Italia che per alcune fasce della popolazione africana.
Insomma, con un intervento commerciale mirato volto a promuovere i manufatti italiani si potrebbe contribuire alla risoluzione di alcune problematiche ricorrenti come la disoccupazione giovanile italiana e i massicci fenomeni immigratori africani.
Partendo dal presupposto che i conflitti, rispetto al 1990, in Africa sono diminuiti negli ultimi anni, osserviamo come i giovani africani – sempre più acculturati – siano alla ricerca costante di una occidentalizzazione dei consumi. Inoltre, l’africano medio percepisce la presenza cinese (soprattutto sulla costa orientale e nelle zone d’estrazione di minerali rari utilissimi per l’elettronica) come invasiva, dato che le migliaia di infrastrutture costruire dalle industrie cinesi sono destinate ad una potenziale emigrazione cinese e presentano dei costi di accesso troppo elevati per il mercato africano.
Pertanto è questo il momento storico per rinsaldare il legame economico tra Italia e Paesi africani, prendendo spunto dalla politica estera mussoliniana nei rapporti con l’Egitto per liberare la terra del Nilo dalla pressante oppressione dell’impero britannico.
In particolar modo vi è un settore, prima ancora della meccanica di precisione e del lusso, nel quale l’Itala ha esperienza plurisecolare che potrebbe aprire le strade per uno sviluppo commerciale e sociale di importanza primaria: l’agricoltura. L’Africa soffre di perenne mancanza di sicurezza alimentare a causa dell’aridità di alcune aree, della scarsità di infrastrutture idriche e dell’arretratezza culturale per quanto riguarda le tecniche di agricoltura e coltivazione. Ecco quindi che la conoscenza (know-how) italiana in ambito di biodiversità e di agricoltura risulta fondamentale per garantire il sostentamento della crescente popolazione africana, garantendo inoltre alle imprese italiane di trovare nuove opportunità per fuggire ai regolamenti comunitari europei che strozzano la produzione autoctona.
Attenzione, non si sta proponendo di spostare la produzione italiana in Africa o di impiantare un nuovo modello di schiavitù in stile cotone americano, bensì si vuole offrire una panoramica delle potenzialità che l’immenso continente africano offre al nostro Paese.
Prima di altri attori europei (come i francesi che risultano comunque scomodi per via delle imposizioni monetarie nell’Africa centrale) o internazionali (USA, Cina e Russia), l’Italia deve costruire il suo canale preferenziale dialogando con i leader africani. Se si perde questa grande occasione, rimarremo prigionieri nel nostro Mediterraneo, subendo sempre di più l’influenza turca e il nodo alla gola delle gabelle di Bruxelles.
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