Di Matteo
Nonostante Giuseppe Verdi si sia sempre rifiutato di comporre musica celebrativa, il 22 maggio 1874 eseguì la Messa da Requiem per onorare degnamente la scomparsa del padre della patria Alessandro Manzoni (deceduto esattamente un anno prima).
Nasce nel 1785 a Milano dal conte Pietro Manzoni e dalla marchesina Giulia Beccaria (figlia del celebre ideologo, economista e letterato Cesare). Il giovine cresce legandosi di amicizia con alcuni intellettuali convenuti nella capitale della repubblica cisalpina dopo la vittoria di Napoleone a Marengo.
Ha modo così di conoscere e frequentare, tra gli altri, oltre a Foscolo e Monti, il futuro storico e filologo Greco Andrea Mustoxidi: il giovane può aggiornare e irrobustire la propria cultura filosofica e romantica. Nel 1812 Manzoni inizia a lavorare agli Inni Sacri. Nel ‘20 comincia il periodo più alacre e fortunato dell’attività dello scrittore: da novembre lavora alla seconda tragedia, Adelchi. Durante la composizione del dramma, nel ‘21, inizia la stesura del Fermo e Lucia, scrive le Odi e il cinque Maggio.
A partire dal 1833 le vicende della famiglia sono funestante da una lunga serie di lutti, solo dopo il secondo matrimonio Manzoni può tornare al lavoro di revisione linguistica del romanzo, rimasto interrotto dopo malesseri dovuti alla morte della moglie. Egli aveva grande interesse per le questioni linguistiche, infatti lo scrittore tornò tra il ‘38 e il ‘40 sul testo dei Promessi Sposi con lo scopo di adeguare la lingua del romanzo al toscano medio con una esplicita opzione per il fiorentino.
La prima edizione del romanzo apparve nel 1840. Il re Vittorio Emanuele II riconosce in lui uno dei Padri della Patria al quale vengono a rendere omaggio Cavour e Garibaldi. Poco dopo viene nominato senatore del regno e vota a favore dello spostamento della capitale.
L’autore muore nel maggio del 1873 a Milano, i solenni funerali si celebrano alla presenza del principe Umberto: il suo corpo viene sepolto a Milano, nel cimitero monumentale. La composizione del Requiem da parte di Verdi per Alessandro Manzoni inizia nello stesso anno. Il Maestro propone il Requiem per Manzoni a Ricordi, il quale a sua volta lo propone al Comune di Milano, con promessa di eseguirlo nel primo anniversario della morte del grande letterato. Il Sindaco e la Giunta accettano di buon grado e ringraziano calorosamente Verdi. La Messa da Requiem viene finalmente eseguita nella chiesa di San Marco il 22 maggio 1874, con il soprano Teresa Stolz, il mezzosoprano Maria Waldmann, il tenore Giuseppe Coppini e il basso Ormondo Maini diretti dallo stesso Verdi.
Due secoli dopo la prima stesura del capolavoro manzoniano, la nostra lingua italica, figlia della lingua e della cultura latina nata sulle rive del Tevere, sta andando purtroppo estinguendosi.
Manzoni ha sempre dimostrato grande interesse per le questioni linguistiche legate alla produzione letteraria, come attestato dai numerosi rifacimenti del romanzo alla ricerca della lingua più adatta per giungere al pubblico più ampio possibile, oltre che per dare forma compiuta alla narrazione (tale problema è accennato anche nell’Introduzione ai Promessi sposi).
Il lavoro di Manzoni fu fondamentale per la creazione di un’unità linguistica e combattere l’analfabetismo; la sua Storia milanese del secolo XVII era il miglior modo per rispondere al bisogno di storia del popolo. Egli indicava nel toscano l’unica via di uscita praticabile; con il suo capolavoro linguistico intraprese il lavoro di “risciacquare” il testo nelle acque dell’Arno.
L’italiano, lingua figlia dell’idioma ciceroniano e lingua ufficiale di uno dei più grandi e affascinanti imperi, ha una storia millenaria, usata sia dai grandi letterati come Cicerone, Catullo, Virgilio, Ovidio e Orazio, ma anche dei condottieri come Cesare. Ha dato origine a varie lingue, chiamate volgari. Spesso si crede che la lingua italiana possa essere definita tale fin dal ‘300. Come ci insegna il Manzoni però, la prima edizione del romanzo fu un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall’una o dall’altra di esse. Come già detto precedentemente, reputò come lingua dell’edizione definitiva del romanzo il fiorentino parlato dalla borghesia colta come unica soluzione per un’unità linguistica.
Ai giorni odierni purtroppo parole come social network, switchare, chattare, feedback, business, audience, news, meeting, e manager sono diventate d’uso comune nella nostra lingua in questa civiltà dei consumi. Il segreto della neolingua consiste nel sostituire i termini con nomi invertiti, imponendo parole e concetti e restringendo ogni pensiero non allineato. Per fare nuovamente rifermento a Manzoni, si pensi al capitolo II, nel quale don Abbondio, tentando di confondere Renzo, inizia a parlare in latino con il fine di metterlo in soggezione e non fargli capire cosa sta dicendo
- Error, conditio, votum, cognatio, crimen, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, si sis affinis…cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
- Si piglia gioco di me? – interruppe il giovine.
- Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?
- Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.
Ne I promessi sposi personaggi potenti usano la lingua come strumento per confondere le idee ai popolani, dissimulando le loro vere intenzioni o non facendo capire quanto in realtà stanno dicendo, sfruttando l’ignoranza delle persone più umili: ciò è parte di quella questione linguistica che sta tanto a cuore al Manzoni, in quanto leparole possono essere mezzo per diffondere le idee e preservare la libertà, ma anche per esercitare soprusi ai danni dei più deboli.
La neolingua impone ai popoli di rinunciare alla propria lingua nazionale e riduce drasticamente le parole del nostro idioma. Con essa ogni pensiero tende a diventare strutturalmente impossibile.
Occorre tornare a parlare la nostra ricchissima lingua di origine millenaria per essere fieramente italiani.
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