Di Elena
Negli ultimi decenni il mondo noto ai nostri nonni è cambiato in maniera fluida e rapida, rendendo difficile a questi ultimi lo stare al passo con i tempi. La causa del mutamento repentino a cui abbiamo assistito è la globalizzazione che tramite ‘’una maschera che nasconde un’azione violenta e disgregatrice, persegue la cancellazione delle memorie culturali delle singole nazioni” [S. Brizzi].
La ricchezza delle civiltà risiede nelle differenze culturali che vanno preservate e in questo momento storico difese dall’omologazione forzata che riduce l’uomo a numeri, statistiche o portafogli. La ricerca di appiattimento culturale implica l’eliminazione dell’unicità dell’individuo formatasi grazie a secoli di arte e politica.
Come suggerisce Hermann Hesse, ogni uomo è “un punto unico, particolarissimo”, l’omologazione dovrebbe quindi rendere l’uomo insoddisfatto, ma il torpore in cui siamo abituati a vivere ci rende deboli e quasi incapaci di accorgerci di come sopravviviamo. Siamo troppo abituati alla vita frenetica che abbiamo smesso di prestare attenzione a noi stessi, stare soli ci fa paura, siamo fragili ma troppo orgogliosi per ammetterlo. Costantemente immersi nel “sonno verticale”, guardiamo solo il dito e mai la luna e pigri ci conformiamo alla massa, abbandonando la nostra unicità. Come il criceto nella ruota corriamo, sappiamo andare solo di fretta, siamo perennemente in ritardo alla ricerca di più tempo, tempo che incoscientemente ci sottraiamo in autonomia.
“Tu non sei un delicato e irripetibile fiocco di neve. Tu sei la stessa materia organica deperibile di chiunque altro e noi tutti siamo parte dello stesso cumolo di decomposizione”[C. Palahniuk, Fight Club].
Per insorgere, quindi uscire da questo tunnel dell’orrore basterebbe ricordarsi di sé [Gurdjieff], riconnettersi con le proprie radici, riprendersi il proprio posto nel mondo, riabbracciare la propria cultura lasciandosi alle spalle il pensiero unico dell’intolleranza e della guerra al conformismo culturale. Dobbiamo uscire dal branco indifferenziato.
Una volta rioccupato il nostro posto ci accorgeremo che non siamo più in grado di fare delle scelte, perché in tutto questo tempo ci è stata sottratta la nostra capacità decisionale perché schiavi di un “regime del terrore” dove il nemico a rotazione cambia o si trasforma (le trame nere, il comunismo, l’islam, la Russia ecc). Le nostre decisioni sono state prese da figure fittizie, capibranco senza scrupoli, governi occulti e sovranazionali.
Aprire gli occhi nell’acqua salata non è semplice, ma arrendersi prima di cominciare sarebbe sinonimo di involuzione (come è favolisticamente raccontato nel film Matrix). Platone, ben cinque secoli prima della nascita di Cristo, ci ha insegnato le regole per vivere, riassumibili in Bene Comune e preservazione della propria identità all’interno di una comunità. Sono due pilastri basilari per la vita dell’uomo che non è altro che un “essere sociale” e in quanto tale ha bisogno di vedersi riconosciuto in un gruppo che condivide valori, regole comportamentali e relazioni [Hegel], e questo gruppo è la nostra cultura di appartenenza nonché la nostra identità.
Dobbiamo risvegliare il nostro monaco guerriero: colui che addestrato costantemente è pronto ad affrontare conflitti e violenze perché, come un samurai, persegue l’autoperfezionamento e la completezza.
“Il Monaco Guerriero insegue il suo sogno, la sua passione, e se la sua anima è integra, centrata, priva di paura, allora irradia intorno a sé una Forza che attira le circostanze” [S.Brizzi].
Egli vive nelle guerre, è coraggioso, ne prende parte, ma riesce ad estraniarsi e a giudicare con la coerenza e l’oggettività limitate dalla natura umana. Dobbiamo essere capaci di pensare in maniera innovativa tramite la ricerca dell’essenza delle cose, della verità e solo allora si schiuderà a noi il “nuovo mondo” [Heidegger].
La consapevolezza acquisita va proiettata intorno a noi, questa ci permette di ritornare ad essere capaci di pensare nuovamente il globo. Solo un lavoro su di sé è in grado di riabilitarci, dandoci la possibilità di riappropriarci dei nostri spazi. Noi siamo gli artefici del nostro destino.
In sostanza, solo il lavoro su noi stessi ci rende liberi perché ci dà la forza, la grinta e la voglia di lottare per difendere ciò che ci sta a cuore ponendo le basi per costruire un futuro migliore disponendo davanti agli interessi personali le nostre capacità, al servizio di quel Bene Comune che ci descriveva Platone.
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