Di Sergio
“La guerra dell’energia”. Un titolo che non può essere più esemplificativo di così. Perché è proprio una guerra, quella che nel corso degli ultimi decenni si sta combattendo, molte volte con le modalità di vere e proprie battaglie ma molto più spesso con le armi del capitale finanziario, tra le molteplici potenze mondiali (non solo nazionali ma anche multinazionali) per una vera e propria corsa agli armamenti. Una guerra silenziosa da cui dipendono le sorti di città, nazioni, continenti ed infondo del pianeta Terra stesso. Una guerra combattuta su più fronti, da vari interlocutori con interessi opposti che si sfidano per la “sostanza basale” del mondo. L’energia. Una guerra che seppur va assumendo connotati semplicemente materiali, non è esente da un discorso ideologico e nemmeno da un discorso di “visioni del mondo”, se vogliamo. Non solo quindi uno scontro orizzontale, di sopravvivenza, per il possesso fisico delle fonti energetiche, ma uno scontro verticale per l’affermazione di un tipo di mondo altro rispetto a quello attuale: infatti, dalla guerra dell’energia va profilandosi la possibilità di ri-affermare un tipo di uomo non più isolato dal mondo, individuo atomo e consumatore, ma un uomo costruttore e parte integrante “organica” del cosmos. Questo ci traspare dalle pagine molto tecniche, cifre alla mano come si suole dire, del nuovo titolo di Altaforte edizioni: “La guerra dell’energia”, appunto, del docente di economia dell’ambiente e territorio Gian Piero Joime.
Premessa: questo libro non può non interessare, soprattutto per chi (come noi) ha l’aspirazione, la missione, di cambiare le sorti della nostra Nazione. Un disegno di grande politica non può prescindere da una visione ad ampio raggio su tutti i fronti in cui una Nazione deve affermare la sua sovranità, la sua proiezione, la sua volontà di potenza. Un sogno di rivoluzione non può prescindere da una visione che riesca abbracciare non solo il contingente, ma anche un arco temporale molto più lungo delle nostre vite, in cui ogni singolo mattone ha valore di fondamenta. È tecnico, sì. Ma anche con la tecnica e il pragmatismo si giunge alla fondazione. Ci tengo ad iniziare questa breve recensione con una riflessione, che prende le mosse da una molto più autorevole della mia:
“Le scienze naturali sono in un certo senso il modo con cui andiamo incontro al lato oggettivo della realtà. La fede religiosa, viceversa, è l’espressione di una decisione soggettiva, con la quale stabiliamo quali debbano essere i nostri valori di riferimento nella vita. Devo ammettere che non mi trovo a mio agio con questa separazione, dubito che alla lunga delle comunità umane possano convivere con questa netta scissione tra sapere e credere”.
Queste parole sono di Werner Karl Heisenberg, scienziato tedesco premio Nobel per la fisica(1932), noto oltre che per il principio d’indeterminazione (concetto cardine della meccanica quantistica) per aver guidato durante la seconda guerra mondiale il programma nucleare militare tedesco. Una riflessione che ancora oggi ci pone di fronte uno dei più grandi danni che l’illuminismo progressista e la secolarizzazione hanno perpetrato contro il pensiero umano: far credere che la fede sia scissa, anzi in antitesi, al sapere. La scienza che nega Dio è forse la più grande aberrazione posta al progresso dell’umanità, accettata e perpetrata sia dal fronte laico che da quello religioso. Ma in fondo, cosa sono le opere senza fede? “Una perdita di tempo e niente più”, gusci vuoti senza direzione che aprono la strada alla metafisica dell’illimitato, al progresso per il progresso, alla scienza senz’anima e senza un “perché” se non il proverbiale “perché possiamo”. E la fede senza opere? “È morta” molto semplicemente. Così scrisse Anton Chechov ne “Il duello”, più di un secolo fa, quando con le armi del dramma inscenò quello sarebbe stata la faida tra scienza e fede. Una faida che si può superare solo nel naturale ricongiungimento delle due facoltà umane di sapere e credere, verso la ricerca della verità che non è mai una, dogmatica e assoluta, ma sempre multipolare, come sono molteplici le vie per arrivarci.
Multipolarità, appunto. Il mondo che il professor Joime descrive nel suo libro è un mondo che attraversa un periodo epocale, un periodo in cui via via si sfaldano le vecchie certezze acquisite per far posto a nuove vie percorribili. È il nostro mondo, impegnato in una vera e propria “transizione energetica”. Transizione lenta ma inesorabile dalle fonti fossili (esauribili) a quelle rinnovabili. Non solo una transizione dal petrolio al sole, ma una transizione di poteri da un vecchio sistema polarizzato e centralizzato sui pochi centri baciati dalla dea fortuna per la presenza di risorse fossili, ad un sistema multipolare, decentrato e (potenzialmente) autosufficiente. Il periodo degli oligopoli petroliferi delle sette sorelle (dalla locuzione coniata da Enrico Mattei) BP, SHELL, CHEVRON, EXXON, MOBIL, TEXACO e GULF, che dal 1945 formavano il cartello Consorzio per l’Iran e che dominarono per fatturato la produzione petrolifera mondiale dagli anni ‘40 sino alla crisi energetica del ‘73 (causata dal conflitto arabo-israeliano della guerra del Kippur), è ormai al tramonto. Al tramonto perché scavalcate da altre sorelle, quasi tutte compagnie di nazioni “emergenti”, al tramonto perché le scelte energetiche del mondo occidentale ed asiatico stanno virando decisamente verso un processo che se da un lato vede affermarsi ancora, almeno fino al 2070, il consumo di petrolio come approvvigionamento principale di energia e materia prima del comparto petrolchimico, vede anche la parallela crescita del fronte “rivoluzionario” delle rinnovabili, favorite da politiche nazionali ed internazionali di sostegno allo sviluppo ed incentivi alla crescita contestuali al globale processo di de-carbonizzazione. Processo che vuole espungere la parola carbone dal dizionario energetico globale, in favore di fonti sostenibili, rinnovabili e a basso impatto ambientale. Infatti, il volano della transizione è stato lanciato già dagli anni settanta dagli allarmi sul clima, soprattutto in merito alle emissioni di gas serra e CO2 nell’atmosfera. Lungi dalle posizioni gretine, il libro espone con efficacia gli effetti dell’orientamento dell’opinione pubblica occidentale verso una maggiore attenzione ecologica. Campo in cui Europa e Italia in testa sono già avanguardia da molto prima del Club di Roma (1968), in cui infatti si trovano le prime legislazioni in materia ambientale, faunistica ed agricola risalenti già agli anni venti e trenta con Italia e Germania in testa (sic!), per non parlare dei lavori sulle sementi elette dell’agronomo italiano Nazareno Strampelli, che già dagli anni dieci capì l’importanza di adattare a climi ed ambienti diversi sementi specifiche che potessero far rendere di più ogni ettaro. Studi avanguardistici sugli OGM che furono poi la base della più nota rivoluzione verde del secondo dopoguerra.
In questo quadro descritto sapientemente dal professor Joime, si innescano i processi già in atto della decentralizzazione energetica, che se prima vedeva pochi attori sulla scena, ora ne presenta molteplici e potenzialmente fa dell’Italia un attore di tutto rispetto nel campo di questa transizione. Se le fonti fossili hanno trovato nuovi protagonisti sullo scenario globale oltre agli USA (Russia, Cina, India, Iran, Messico, Venezuela) le fonti rinnovabili sia in Italia che in Europa stanno vivendo una stagione di crescita senza precedenti, favorite dalla ricerca tecnologica che fa crollare i prezzi delle installazioni e dagli incentivi (ecobonus) ad imprese e privati. In questo contesto si apre per l’Italia una possibilità di trovare una via mediterranea alla transizione energetica. Una possibilità di abbattere drasticamente le importazioni estere e riposizionarsi nel mondo come Nazione produttrice di alta tecnologia, di riposizionarsi nel campo geopolitico come attore di primo piano tra oriente, occidente ed Africa. Nonostante le molte abiure fatte dall’Italia nel campo della politica estera (in primis le crisi eterodirette in Libia e Siria) e l’auto-menomazione inferta dalla rinuncia al nucleare, la nostra penisola è avanti anni luce nel comparto dell’energia solare e nella ricerca ed innovazione tecnologica. Nonostante i colpi inferti alle imprese da politiche scellerate l’Italia è ancora una nazione industriale che vanta le migliori aziende nel campo energetico e strategico: ENI, FINMECCANICA, LEONARDO, FERROVIE sono nomi di punta che si impongono al rispetto del mondo. Perché non ripensare il nostro comparto industriale, forte soprattutto di piccole e medie imprese, in un contesto di corsa alle rinnovabili? Perché non ripensare il nostro ambiente, il nostro territorio tanto vario a livello culturale e paesaggistico in una chiave nuova, in cui comunità ed energia sono facce della stessa medaglia? Abbattere il processo di svuotamento delle aree rurali e montane grazie alla nascita di poli autonomi in grado di offrire il giusto apporto di lavoro ed occasioni di vita, lontano dai vezzi migratori verso le El dorado estere, è una via percorribile? A lenti passi, certo. Però è bene iniziare a muoversi se si vuole essere protagonisti di nuovo di una vera e propria rivoluzione che possa guidare l’Europa e il mondo via dalle catene imposte dalle forze della conservazione, forti ancora della necessità primaria di energia non rinnovabili per la produzione di elettricità e beni di consumo. Ripensare nuovamente il nostro ambiente, così come fecero i nostri antenati, per vincere le sfide imposte dalla globalizzazione, è una necessità che si impone all’Italia se non vuole scivolare in un mondo marginale in cui sarà solo spettatrice e consumatrice. Se il passaggio alle energie rinnovabili (solare, idroelettrico ed eolico in testa) sembra essere già avviato servirà ripensare fortemente su quali valori deve poggiare una nuova era energetica, svincolata dai dogmi liberisti ed ultra progressisti che vedono nella Terra solo una grossa ostrica da sgusciare. È utile passare ad altre fonti se non cambiano i paradigmi di consumo e produzione? È utile passare ad altre fonti se anche queste passeranno inesorabilmente dallo sfruttamento minerario senza condizioni dell’Africa? È necessario ripensare i vincoli di bilancio, per le spese espansive dirette alla riconversione industriale? È bene ripensare l’assetto geopolitico italiano come stato membro di Nato ed Ue? È utile abiurare completamente al fossile, mentre il terzo mondo ne aumenta consumo e produzione?
Infine, è bene accontentarsi dei pannelli e delle pale eoliche? Se infatti il campo sembra spianato alla loro affermazione, si impone anche la necessità di non rendere forze rivoluzionarie come quelle che stanno operando per l’energia rinnovabile, forze della conservazione. Insomma i ribelli non devono diventare questurini. Una Nazione che percorre la via della Rivoluzione Energetica dovrebbe, a nostro avviso, tenere sempre la barra dritta su ricerca ed innovazione, sulle forze giovani che animano i cambiamenti. Non sarebbe una Rivoluzione se dal cartello petrolifero dell’Opec si passasse al cartello dell’energia solare. Una rivoluzione è tale se la spada taglia il nodo gordiano, non se lo stringe ancora di più.
La guerra dell’energia è in corso ed i destini delle prossime generazioni si giocheranno in una manciata di anni. Se da un lato la via delle rinnovabili si è aperta, il petrolio, il gas, il carbone e il nucleare sono ancora le principali fonti di energia nei mix energetici nazionali e lo saranno ancora per molto tempo. Posizionarsi in questo scacchiere risulta di primaria importanza se si vorrà giocare ad armi pari con nazioni come Russia e Stati Uniti mentre grandi potenze energivore come Cina, India e Messico sono in pieno boom economico e demografico. Se l’energia nucleare a fissione ha subito un forte arresto in tutto il mondo dopo gli incidenti di Three Mile Island, Cernobyl e Fukushima nell’attesa quasi messianica (ma sempre più vicina) della fusione nucleare (evento questo che cambierebbe completamente i paradigmi usati fin qui), le altre fonti fossili, gas naturale in testa, saranno protagoniste ancora a lungo. Questo libro rappresenta un primo mattone nel cantiere “Rivoluzione Energetica”, getta le basi e le linee sulle quali poggiare una rinascita economica ma anche una rinascita spirituale nel futuro prossimo. Tornare a trarre energia (anche fisica) dal nostro ambiente senza alterarlo sarebbe già di per sé un ritorno alle origini, una mobilitazione evocativa del divino: immaginiamo un mondo in cui uomini e Dei tornino in un rapporto di simbiosi e di reciproco beneficio. Cosa sono se non divinità le montagne, i mari, le foreste, il vento e il Sole? Cosa sono gli uomini, se non antenne pronte a captare la loro energia?
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