di Rocco

Dobbiamo, quindi, essere di quelli che, per così dire, fan del bene senza saperlo, così affermava Marco Aurelio.

Al giorno d’oggi sarebbe assurdo, per un qualsiasi personaggio politico, dal semplice simpatizzante al più alto esponente, applicare questo principio alla realtà quotidiana, perché non se ne trarrebbe alcun vantaggio in termini di consenso, perché fare qualcosa per il bene del prossimo senza che gli altri possano apprezzarlo è un’azione fine a sé stessa, che ci fa sentire bene solo nel nostro intimo e con la nostra coscienza; eppure questa mancanza di modestia ai tempi del COVID-19 ha totalmente ribaltato il significato di “volontariato”.

Non si vuole di certo diffondere un messaggio moralista, però bisogna soffermarsi a pensare a cosa era la buona politica in altri tempi: i giuristi romani offrivano assistenza nel foro seguendo un principio di gratuità, e tanto migliori erano i pareri che davano o quanti più casi risolvevano, maggiore era la possibilità di farsi eleggere in cariche amministrative importanti. Si può dunque dire che svolgevano le proprie attività sulla base di interessi, sì, ma venivano giudicati anche dal punto di vista qualitativo e di competenze; invece il modo di fare politica negli odierni tempi di crisi (ma non solo) rassomiglia il metodo sicuramente più facile, ma altrettanto considerato abbietto già nell’avanti Cristo, con cui gli alti magistrati e poi gli imperatori compravano il giudizio della folla soddisfacendo quel desiderio che Giovenale sinteticamente riassunse in panem et circenses, giochi circensi e distribuzioni gratuite di grano.

In cosa si traduce questo metodo demagogico nel mondo moderno? In papabili per la candidatura, candidati ed eletti di ogni schieramento che fanno a gara a chi più somiglia nelle azioni alla Caritas, mettendo in terzo piano (perché al secondo c’è la polemica spicciola con gli avversari) qualsivoglia programma o proposta, per quanto possa essere ben studiata o piena di contenuti. E così, aprendo un profilo Facebook qualsiasi di tali personaggi, ci si trova davanti a schiere di selfie ritraenti le azioni di “solidarietà”, col faccione dell’esecutore o dell’organizzatore in primo piano. E le pagine del partito di appartenenza? Ricondividono ovviamente, non sia mai che tra una diretta e l’altra fatta ogni giorno le persone si scordino quel bel volto scolpito che sorride ampiamente dietro la mascherina, accanto a quel ben di Dio destinato alla distribuzione.

Certo, è una verità imprescindibile che la politica si basa anche su un certo tipo di personalismo, che senza una figura chiave che gli altri possano seguire non si va da nessuna parte, ma era tollerabile nei limiti in cui queste figure erano un Francesco Crispi o un Giovanni Giolitti, un Enrico Berlinguer o un Giorgio Almirante, e non esibizionisti inutili che si improvvisano influencer. Milioni di italiani in questi giorni sono bloccati a casa e spendono la maggior parte del loro tempo davanti allo schermo di un computer o di un cellulare, e tra notizie apocalittiche e promesse di aiuti più concreti, quasi si trovano ipnotizzati da questo teatrino portato avanti da tutti, maggioranza e opposizione, parte della dittatura del sorriso che li vede solo come prodotti da mercato delle vacche.

È normale che ogni parte dica “lo fanno tutti, lo devo fare anch’io, è questo l’andazzo”, ma come ogni circolo vizioso chi vi si inserisce per cercare di cambiarlo finisce per farne parte, con la paura che per agire in altro modo si rischi di non essere al passo coi tempi e con le mode. Agire in altro modo invece significa essere rivoluzionari, significa non dare un nome o un volto al gesto che si compie, ma dargli un simbolo e un Ideale. Quindi spegniamo le fotocamere, e diamoci da fare.