Di David
La fine dell’Ottocento portò avanti troppi problemi non risolti, prodotti da una mentalità troppo inattuale, bloccata nel feticcio di un passato nostalgico. Confini da ridisegnare, una società da rivoluzionare, rivalità tra Nazioni, una nuova generazione che non si identificava più nel ceto governante assieme a un desiderio di prendere tra le mani quel diabolico Destino che stava portando l’Europa a spegnersi dietro politiche borghesi. Volontà di ravvivare la Fiamma sopita. È in questo contesto che nasce il Futurismo, creato da un pugno di giovani, troppo stanchi di un immobilismo artistico e spiritico.
“È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il «Futurismo» perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl’innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli”.
Sono con queste parole che Filippo Tommaso Marinetti ha annunciato al mondo la nascita del movimento futurista il 20 febbraio 1909 sulla rivista francese “Le Figaro”. Una dichiarazione esplicita di rottura con un passato, troppo pesante, che aveva indebolito il morale italiano, che non innovava più, ma si chiudeva in borghesi salotti fatti di intellettuali. Un’Italia ferma, come i nostri giorni del resto, con gli italiani che si soffermavano a fare del passato una nostalgica ammirazione.
I futuristi, del resto, si definivano nostalgici del futuro, ma non perché volessero cancellare il passato o soprattutto la Tradizione, come magari qualche liberale di oggi che vorrebbe completamente spersonalizzare l’Italia, ma piuttosto per rivoluzionare il concetto di Tradizione stessa: non veneratori del passato, ma custodi.
Ma il futurismo non fu solo scrittura, pittura e scultura. Futurismo fu uno stile di vita, di mangiare, di fare politica, che fa suo il concetto di movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno, ovvero l’andare avanti lottando contro gli antichi idoli che immobilizzano la società nella contemplazione del passato, nell’accontentarsi. “Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente” scriveva Marinetti sul manifesto in risposta ai tanto odiati critici d’arte che si accontentavano di rinchiudersi nei musei ad ammirare Raffaello e a disprezzare tutto ciò che usciva dagli standard classicisti.
Esaltatori della lotta sociale e della Nazione (attribuendogli un valore sacro), furono tutti interventisti, disprezzanti di un Austria opprimente verso i propri connazionali. Un ideale di unificare l’Italia con l’unico mezzo disponibile: la guerra, espressione di libertà stessa, libertà per le città di Trento e Trieste. “Le belle idee per cui si muore” pensavano i futuristi quando si recarono a combattere al fronte come volontari, dove qualcuno di loro trovò la morte, come Umberto Boccioni, uno degli artisti di maggiore spicco.
Movimento che si è fatto avanguardia del futuro, formato da una nuova generazione di giovani troppo stanchi di essere governati da vecchi incapaci, che voleva cambiare l’Italia non dai balconi o dai palazzi, ma nelle strade, nelle piazze, casa per casa. “Se non piaci al mondo allora cambialo” era l’idea dei futuristi accolti con diffidenza dai suoi contemporanei nella mostra futurista di Parigi nel 1912. Criticati dai cubisti che però, anche se avevano come loro innovato il concetto di arte, si ostinavano a disegnare soggetti immobili, sinonimo di un appagamento degli spettatori e di non avere un vero ideale di cambiamento.
Osannati pure da Gabriele D’Annunzio per la loro superbia nel disegnare e scolpire, avevano una sola parola d’ordine: osare. Infatti, non è un caso che i maggiori esponenti del futurismo, tutti milanesi, si avvicinarono ai Fasci di Combattimento. Giovani insoddisfatti del presente che incontrano altri giovani con ideali di cambiamento con un obiettivo comune: salvare l’Italia dall’immobilismo. Furono massima espressione di arte e scultura italiana per tutto il Ventennio. In arte ai giorni d’oggi ormai di Futurismo non se ne sente più parlare, colpevole l’ignoranza di Benedetto Croce che, a disprezzo dell’arte stessa, vedeva nel Futurismo il male in quanto ideologicamente vicino al Fascismo. Ma il Futurismo non è morto. I loro ideali esistono ancora nei cuori di alcuni italiani che non si arrendono, che lottano e che non si fermano, guardando il futuro e combattendo per un domani che gli appartiene
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