Di Sergio
Se volete una verità precotta e già confezionata cercatela su un sito diverso. Oppure vi basterà sfogliare le pagine dei principali quotidiani italiani: la troverete lì, sulle colonne stampate tra una pubblicità e l’altra. “La Siria dà il via all’invasione del Kurdistan”, così ha titolato La Repubblica pochi giorni fa. Se questo vi basta, avrete la vostra verità e non avrete bisogno di approfondire alcunché. Ma se vi si è storto il naso allora siete nel posto giusto.
Infatti, non è il Kurdistan ad aver subito l’invasione, tantomeno siriana. L’invasione è perpetrata dalla Turchia ai danni della Siria. Il Kurdistan non è mai esistito, nonostante la lotta armata dei Curdi sia stata propagandata e pompata dai media occidentali in funzione anti-Assad. La Siria, non il Kurdistan, ha subito un attentato alla sua integrità territoriale. I Curdi sono rimasti in mezzo: scaricati dall’alleato americano nelle prime fasi dell’attacco, hanno subito un brusco ritorno alla realtà. Agli Stati Uniti non è mai interessata la libertà del “popolo” curdo, tantomeno ora che potevano dimostrarlo difendendoli dall’aggressione della Turchia, la quale, lo ricordiamo, comprende nel suo territorio il grosso di quello che dovrebbe essere l’ipotetico Kurdistan. Sta di fatto che circa il 12,7% della sua popolazione è di etnia curda, contro il 9% della Siria. Insomma, se i Curdi dovessero avere un nemico numero uno quello sarebbe proprio la Turchia, mentre per molto, troppo tempo, i media hanno spacciato la loro lotta come una resistenza partigiana al “regime fascista” di Bashar Al Assad. Ma cosa ha fatto il terribile tiranno? Al contrario dell’amico a stelle e strisce, il sanguinario dittatore “salverà il culo” agli idoli degli antifascisti nostrani. Tanto basta per far saltare i cervelli binari di Zerocalcare, Saviano e company che per anni hanno speso fiumi di parole contro Assad e la Siria, sempre pronti a mettersi la mano davanti alla bocca per fantomatici “attacchi chimici”.
Non vogliamo fare una fredda analisi geopolitica e nemmeno il tifo da stadio: crediamo che chiunque combatta per la sua idea sia degno di rispetto. Se i curdi hanno avuto un vero slancio patriottico o siano stati burattini di un gioco più grande di loro non sta a noi deciderlo. Noi, a differenza di chi ora continuerà a sostenere la causa curda nonostante l’accordo con il governo siriano ed è già pronto a dare del fascista al turco invasore, possiamo vantare una posizione coerente e cristallina fin dai primi tempi del conflitto. Una posizione di appoggio totale e incondizionato alla Repubblica Araba Siriana e al suo legittimo presidente. Sia prima, durante l’aggressione islamista concertata e coadiuvata dall’Occidente, sia ora che a farsi avanti è la Turchia di Erdogan, nazione membra della Nato, ennesimo frutto marcio dell’impotenza europea e della sua corruzione interna.
Se l’Europa ha abiurato alla sua volontà di potenza non significa che le altre Nazioni debbano fare lo stesso. Se i nostri paesi hanno rinunciato alla loro sovranità e hanno creduto all’inganno antirazzista non è un problema della Turchia. Se abbiamo creduto che un pezzo di carta dato a Calhanoglu o ad Özil potesse trasformarli in veri cittadini tedeschi non è colpa di Erdogan, e non è nemmeno colpa di quei turchi che, da buoni patrioti, provano il giusto orgoglio nel difendere la posizione della loro Nazione. Quanti giocatori di calcio italiani sarebbero in grado di prendere con coraggio una posizione politica? Nessuno. E chi ora vorrebbe che i giocatori turchi fossero cacciati dalle squadre europee avrebbero dovuto volere lo stesso degli atleti americani dopo l’Iraq, o magari degli atleti cinesi, dato che sono cittadini di uno stato che invade stabilmente il Tibet dal 1950. La coerenza come sappiamo non è di casa in Europa e in Italia. Ormai sappiamo solo indignarci a fasi alterne, incoerenti, privi di una qualsiasi visione di grande politica che ci permetta di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Se la massima espressione della politica italiana al riguardo dell’invasione è stata quella di David Sassoli che ha bacchettato lo scolaretto ottomano con “non è questa la soluzione ai problemi” come se fosse appena finita una rissa tra ragazzini, allora non possiamo lamentarci dell’esistenza di Erdogan e delle sue mire egemoniche. Se il Viminale è agli ordini della Ocean Viking che decide dove e quando sbarcare 176 immigrati, non possiamo lamentarci se Erdogan usa i flussi migratori come arma di ricatto. Insomma, dove sono palesi le debolezze e le ritirate delle nazioni europee, qualcuno avanzerà “giustamente” per occuparle. L’Europa è quella che ha lasciato esplodere la polveriera balcanica negli anni ’90, è l’Unione Europea che ha ridotto in mutande la Grecia e permesso i peggiori giochi di guerra americani nel medio-oriente. Siamo noi che abbiamo avallato in silenzio la morte della sovranità libica ed egiziana, siamo noi quelli delle sanzioni alla Russia, alla Siria e all’Iran. Il problema quindi non è Cengiz Under e nemmeno dove si svolgerà la prossima finale di Champions League. Ma è questo il paradosso dell’Occidente: mentre il sangue scorre qualcuno si preoccupa dei suoi diritti televisivi. Mentre Lucia Annunziata si commuove in diretta tv, le aziende di armamenti italiane fanno affari d’oro con le commissioni Turche: infatti, se qualcuno non lo sapesse, la Turchia è uno dei mercati più importanti per l’esportazione di armi italiane. Solo nel 2018 il valore delle esportazioni in Turchia di “materiali d’armamento” autorizzate dal ministero degli Esteri è stato di 362,3 milioni di euro, con un aumento del 36% rispetto all’anno precedente (266,1 milioni). Uno stop, quello annunciato dal Ministro Di Maio alla forniture ad Ankara che comunque risultata tardivo e privo di efficacia se si calcola la quantità di armi fornite in un lungo periodo e prendendo atto che, ormai, le forze armate Turche hanno già scalato il gap che le divideva dall’Occidente e ad oggi superano in forza complessiva quelle di Italia, Germania e Spagna.
Ma allora come si fermano i Turchi? Ce lo insegnano secoli di storia Europea: ce l’hanno insegnato i Veneziani a Lepanto, nel 1571; ce l’hanno insegnato gli Ussari alati di Giovanni Sobieski alle porte di Vienna, nel 1683; ce l’ha insegnato l’italiano Raimondo Montecuccoli quando, alla guida delle armate imperiali e in netta inferiorità numerica, fermò l’avanzata ottomana verso il cuore del continente nella Battaglia di San Gottardo. Fu proprio lui, Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero, a scrivere nel suo “Discorso della guerra contro il turco” che “Si vince coll’esser superiori”. Essere superiori. L’Europa oggi può definirsi superiore alla Turchia? Sicuramente no. Non saranno le buone intenzioni a fermare le armate nemiche e la decadenza del mondo occidentale. L’Italia è superiore alla Turchia? Siamo vittime di una guerra civile mai terminata: ci condanniamo a dover discutere ancora sulla denominazione del Tirolo mentre la Turchia avanza a suon di cannoni, mentre la Gran Bretagna è sull’orlo della Brexit e mentre la Cina annuncia che “spezzerà le ossa ai separatisti”. Se l’Italia non impugnerà nuovamente l’idea e la volontà del Primato per proiettarsi nel Mediterraneo alla guida delle nazioni arabe, laiche e socialiste, è condannata a rimanere una vecchia signora imbellettata per i turisti, spettatrice indifferente delle ingiustizie che si compiono nel suo stesso giardino di casa. Forse, nel 2019, saranno i soldati dell’Esercito Arabo Siriano ad impartirci, ancora una volta, un esempio di superiorità sul nemico. In fondo difendono la nostra stessa Civiltà.
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