Di Chiara 

Nato per combattere

Tre parole per descrivere uno dei tanti eroi ingiustamente dimenticati della nostra storia. 

Ferruccio Corradino Squarcia il titolo di eroe l’ha guadagnato sul campo, durante la Guerra civile spagnola, quando, resosi conto di essere vicino alla morte, si riferì con spartana fermezza ai suoi camerati dicendo: “So di essere ferito a morte. Questo è niente! Mi basta di aver mantenuto la posizione“.

L’arruolamento volontario, però, è solo il culmine di una vita dedicata all’azione. 

Nato nel 1910 a Santa Vittoria in Matenano, nell’odierna Fermo, cresce e si forma ad Ascoli Piceno, dove completa gli studi classici e sin da subito si dedica alla vita politica. Già dall’età di 12 anni si avvicina alle Squadre d’Azione del Piceno e tutti lo ricordano come un giovane distinto per il vivo ingegno e la voglia di rendersi utile; Credere Obbedire Combattere, non erano per lui parole vuote di senso o semplici formule, ma piuttosto una norma di vita, un imperativo categorico imprescindibile. 

Non mancò mai di esaltare la sua città, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista sportivo: giocò come difensore indossando i colori bianconeri della Vigor Ascoli (l’odierna Ascoli Calcio), a cui rimarrà sempre fedele, oltre a promuovere le attività del GUF. 

Una volta terminata l’esperienza con il calcio giocato, non si allontanò dallo sport e divenne un giornalista de “Il Littoriale”, oggi Corriere dello Sport. 

La vera svolta nella sua vita ci fu sicuramente nel 1936 allo scoppio della Guerra Civile in Spagna, quando il futuro caudillo Francisco Franco attuò un Colpo di stato contro le forze governative repubblicane. 

L’Italia Fascista, insieme alla Germania Nazista e all’Estado Novo portoghese, non mancarono di supportare le forze franchiste. 

Benito Mussolini decise di inviare delle truppe volontarie, come supporto alla crociata internazionale contro il comunismo, oltre che per testare le nuove tecnologie e strategie in ambito militare. Partirono circa 3000 volontari: tra questi Ferruccio Corradino Squarcia. 

Ufficiale di complemento del 225º Reggimento di Fanteria, partì volontario mosso soprattutto da quella rivoluzione intellettuale e culturale che Niccolò Giani, di cui era un fervido sostenitore, promuoveva. 

In breve tempo guadagnò il grado di Tenente, divenendo corrispondente di guerra con degli articoli pubblicati su “Il Popolo d’Italia”.  

Nel dicembre 1937, dalla zona della Castiglia, scrive: “Certo, in questo momento il vero conflitto è fra le due mentalità: quella vecchia e quella qui portata dal soffio rivoluzionario di marca fascista. I “rossi” c’entrano solo per incidenza”

Dal suo diario di guerra traspare la fedeltà all’idea, la tranquillità dinanzi alla battaglia e la certezza di stare combattendo per una giusta causa. 

Il 23 dicembre 1938, i nazionalisti lanciarono l’“Offensiva di Catalogna” per la conquista di Barcellona, città simbolo dei repubblicani e scoglio decisivo per la vittoria dei franchisti. 

Squarcia più di una volta si trovò in prima linea, senza mai arretrare. 

Fu ferito la prima volta alle porte di Barcellona il giorno di Natale del 1938: un proiettile gli colpì la mano, ma continuò a combattere. Molto sofferente si fece medicare; questa sua resistenza alla fatica e al dolore gli valse la Medaglia d’Argento al valor militare. 

Avrebbe avuto diritto a una tranquilla convalescenza e, probabilmente, anche al rimpatrio in Italia, ma l’orgoglio e l’arditismo prevalsero. 

Il giorno dopo tornò in prima linea, ma ciò gli fu fatale: fu colpito al petto dal nemico, ma ancora rifiutò di farsi portare via in barella per rimanere al fianco dei suoi camerati, che continuò ad incitare incurante delle gravissime ferite. 

Il Medico Tenente Gavino Jesu, dopo averlo operato nel disperato tentativo di salvarlo, disse: “L’ufficiale ferito era calmo, sereno, in perfetta coscienza. Lo operai. Verso sera, lo visitai. Mi disse poche, sincere parole di ringraziamento. Da soldato a soldato. Dormì sereno. La mattina del 27 dicembre mi trattenni al suo capezzale. Mi narrò allora della mamma, del fratello volontario come lui nella Prima guerra mondiale, che era fuggito da casa a 16 anni, ferito e superdecorato al valore militare. Si sentiva fiero del sangue versato, lamentando di dover rimanere inchiodato a letto mentre i suoi fanti avanzavano. Nel pomeriggio scambiammo ancora parole cordialissime. Erano quasi le 23 quando mi comunicarono che il tenente Squarcia era deceduto. Non volli credere. Corsi. Giaceva sereno sul lettino da campo, avvolto in una nostra bandiera tricolore. Non era solo il dispiacere di aver perduto, da un momento all’altro, un mio operato, al quale tenevo e che affidava le migliori speranze di salvezza; non era solo il dolore del chirurgo che vede spezzato il suo lavoro da un fato inesplicabile, che vede troncata la sua opera dalla mano inesorabile e stupida di una morte cieca; ma il dolore soprattutto di perdere un legionario nelle cui vene scorreva il migliore sangue d’Italia e che nutriva al massimo grado due grandi amori: la Madre e la Patria.”

Trovò la morte la sera del 27 dicembre 1938 a El Cogul, sulla via per Barcellona. 

Riposa affianco al commilitone ascolano Mario De Berardinis, morto come lui per mano nemica nell’aprile precedente, nel Sacrario dei Caduti italiani a Saragozza. 

La morte gli valse la Medaglia d’oro al valor militare.

Ferdinando Virdia, in un’opera a lui dedicata, scrive: “Rimangono di lui scritti di guerra […]. Questi, insieme al suo diario di guerra, costituiscono uno dei più vivi documenti non soltanto della guerra di Spagna, ma anche dello spirito e del pensiero della Gioventù italiana del tempo di Mussolini.

Ferruccio Squarcia era uno dei più veri perfetti italiani di oggi, un italiano di Mussolini nel senso più completo e integrale. La vita comoda, il posto, l’avvenire assicurato erano cose che forse non sono passate nemmeno un istante nel suo spirito. Le disprezzava con tranquilla fierezza, ma senza ostentazioni. Questo suo profondissimo antiborghesismo era privo del tutto di ogni atteggiamento e di ogni manifestazione esteriori e si esprimeva solo nello stile della sua vita. Sappiamo che in guerra non riusciva a tollerare il protrarsi, anche comandato, dei giorni di riposo. Oltre un certo limite di tempo Ferruccio doveva tornare ad ogni costo in prima linea. Il suo volontarismo era dunque nel sangue, connaturato al suo stesso essere, non gli bastava di trovarsi dove si combatteva: per lui era necessario essere dove il pericolo era più forte, la lotta più dura. È morto da eroe tenendo fede sino all’ ultimo a quello che aveva promesso a sé stesso.”

Ferruccio Corradino Squarcia era destinato a combattere e a morire giovane.

Sembra quasi che si fosse preparato a questo epilogo sin dalla più tenera età, quando, ancora bambino, aiutava i Fascisti piceni nel preparare la colla per le affissioni. 

Nella sua breve vita, però, non si tirò mai indietro, non lasciò mai che il lassismo e la borghesia prevalessero sul suo spirito, fu sempre fedele alle sue ambizioni e al suo spirito. Rimase fedele all’idea fino al suo ultimo respiro, senza alcuna esitazione. 

Ogni azione da lui portata avanti era scandita sempre dallo stesso obiettivo: la grandezza della Patria.

È necessaria la riscoperta di Squarcia e di chi come lui non si è tirato indietro neanche dinanzi alla morte, neanche quando il suo destino era certo. 

“È morto da eroe tenendo fede sino all’ultimo a quello che aveva promesso a sé stesso.”